C’è una fotografia che, forse più di altre, immortala l’acme del partito democratico catanese. È il 2016, piazza Teatro Massimo è blindata per l’arrivo del premier, Matteo Renzi, venuto nel capoluogo etneo per firmare il “Patto per Catania” con l’allora sindaco, Enzo Bianco.
Ad attenderlo tra i corridoi eleganti del Bellini troviamo tutta la segreteria del primo cittadino, il gotha del partito, quadri, dirigenti, segretari di ogni tipo, circoli corposi e circoletti di provincia. Insomma, ad accogliere l’ex Presidente del consiglio ci sono proprio tutti: tutte le anime di un partito, quello democratico, che già 7 anni fa viveva una elevata frammentazione.
C’erano il gruppo di Bianco, quello legato all’ex sottosegretario Giuseppe Berretta, la Cgil con Angelo Villari, Giacomo Rota e Concetta Raia e, ultimi ma non per peso elettorale, gli innesti degli ex lombardiani di Luca Sammartino e Valeria Sudano che avevano disciolto il loro Articolo 4 fondendosi con il PD, in una memorabile convention alla Ciminiere di Catania, benedetta dagli applausi scroscianti dei supporters.
C’erano anche Giovanni Burtone, allora deputato, ed Anthony Barbagallo che, intanto, da sindaco di Pedara, muoveva le sue mosse per la scalata al partito. Un movimento fatto di attacchi, non sempre delicati, indirizzati principalmente al gruppo del sindacato rosso e, nella fattispecie, ad Angelo Villari.
Un contrasto che sfocerà poi nella rottura totale quando, agli sgoccioli delle ultime regionali, Villari – da segretario provinciale di Catania – lascerà in dura polemica il PD per poi candidarsi, 48 ore dopo, con Sud chiama Nord di Cateno De Luca. Non verrà eletto, per una manciata di voti, ma priverà il partito di una delle sue correnti storiche. E lascerà una scia di malumori che vanno ben oltre i semplici mal di pancia.
Un partito democratico senza una buona fetta di Cgil (o almeno la sua dirigenza, infatti, non si era mai visto. Neanche in Sicilia.
Ma questo non è l’unico tassello del puzzle che, negli anni, è mancato alla conta.
Cosa rimane dunque del Partito Democratico etneo, oggi che il vento è tornato a soffiare nelle vele, mai realmente abbandonate, del centrodestra? Poco, direbbe qualcuno, soprattutto alla luce dei risultati elettorali poco entusiasmanti per la segreteria regionale di Anthony Barbagallo. Soprattutto alle ultime amministrative catanesi.
Una gestione che, fino ad oggi, nessuno all’interno del partito ha mai chiaramente messo in discussione, soprattutto dopo l’abbraccio di Barbagallo alla mozione, vincente, di Elly Schlein, alla sua elezione alla Camera dei Deputati – dove gli fa compagnia Burtone – e quella, conseguente, di Ersilia Saverino all’Assemblea regionale.
Dopo la fine dei mandati di Giuseppe Berretta, la rottura con Villari-Rota-Raia, il cambio di casacca di Sammartino (che dal PD, nel 2021, sposa la Lega portando in dote la sua imponente quantità di voti) ed il game over di Enzo Bianco – che era riuscito nel capolavoro di essere il candidato sindaco di una proposta civica alternativa al PD, pur essendo iscritto al Partito Democratico – l’area dell’ex primo cittadino pedarese sembra infatti l’ultima riserva indiana in un partito semi-deserto.
E poco sembrerebbe aver inciso il ricambio generazionale (e di genere) che ha portato a capo dell segreteria provinciale Mariagrazia Leone e, al suo interno, tanti ragazzi che forse, per troppo tempo, sono rimasti al di fuori della stanza dei bottoni.
Con le conseguenze evidenti di un pesante distacco tra elettorato, attivisti e ceto politico.