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“Perché mio figlio mi odia?”: la domanda che affligge tanti genitori

venerdì 22 Maggio 2020

Oggi rispondo a F. che mi scrive: “Mia figlia è ribelle verso di me, sembra mi odi e vorrei aiutarla”. La prima considerazione da fare è che sia il sistema famiglia sia i membri che ne fanno parte sono da supportare. In altre parole, è la gallina a fare l’uovo o l’uovo a fare la gallina?

La relazione non è un fenomeno sintetizzabile. In essa, i termini, i soggetti, le variabili e i processi si influenzano costantemente. La relazione è fluttuante, reversibile, non definitiva e non esclusiva. Ogni individuo può far parte contemporaneamente di molte relazioni. In base alle strutture connettive che si hanno, alle diverse serie di pensieri o di ricordi che si associano a quella rete accade che si instaurino legami e connessioni intricatissimi e invisibili (M. Cuffaro).

La storia familiare è il prodotto del dialogo tra generazioni familiari che sono peraltro anche generazioni sociali. La famiglia riproduce e ripropone pertanto nelle sue scansioni o nelle modalità comunicative non solo il suo nucleo patogeno ma anche alcuni specifichi aspetti socio-culturali.

I genitori tentano di attrezzare i giovani alle sfide di una società sempre più complessa e sempre più sofisticata. Le problematiche relazionali all’interno di una famiglia si sviluppano anche come effetti causati da cambiamenti o sconvolgimenti imprevisti, interni alla famiglia (ad esempio, un divorzio) o esterni a essa (ad esempio, crisi economiche, COVID-19). Ogni famiglia attraversa, nel corso del tempo, cicli caratterizzati da fasi di funzionamento (functioning) e di adattamento (adaptation). La fase di functioning è un periodo della vita familiare di relativo splendore, durante il quale la famiglia riesce a resistere e a far fronte alle richieste e alle questioni che si presentano, rimanendo relativamente stabile, coesa e utilizzando in maniera proficua le capacità di problem solving. La crisi vera e propria emerge quando la famiglia è sottoposta a una serie di sfide che eccedono le sue capacità e si crea uno squilibrio più o meno persistente che provoca profondi cambiamenti dell’organizzazione familiare. Come ogni crisi, tale processo include una nuova opportunità che è quella di acquisire nuove consapevolezze da parte dei membri del nucleo familiare in modo da cambiare qualcosa all’interno della famiglia. Quanto più un individuo, una coppia, una famiglia, un gruppo di lavoro privilegia nei momenti di stress e crisi gli aspetti di vicinanza emotiva (coesione) e di flessibilità circa le regole da seguire pedissequamente e sviluppa una buona comunicazione, tanto più l’evento o la situazione stressante ha la possibilità di essere superato. Per rispondere alla domanda della lettrice vanno, quindi, esaminati gli eventi critici e le risposte a questi eventi, i compiti di sviluppo e come sono stati ripartiti, la regolazione delle distanze, la soddisfazione personale e le modalità comunicative, affettive, comportamentali, in generale, fra tutti i membri della famiglia e fra i coniugi (madre e padre). 

un ambiente che non risulta facilitante ma opprimente l’individuo può sviluppare frustrazione, intolleranza fino alla saturazione. Questo tipo di famiglia è chiamata “invischiata” e può generare odio e ribellione (aggressività manifesta, acting out, blob) o patologie psicosomatiche (aggressività passiva) in età adolescenziale e/o adulta.

La famiglia non è un gruppo di pari e neanche quando i figli sono adulti riescono a stabilire con i genitori relazioni paritetiche del tipo adulto-adulto. L’aspetto gerarchico caratterizza sempre questa relazione anche se assume connotati diversi nel tempo. Tuttavia, in una famiglia sana il rispetto, la cura e la lealtà sono reciproci. Tale sistema, come tutte le strutture connettive che si costruiscono sin dalla nascita insieme all’apparato per pensare i pensieri, è attivato dai messaggi emessi dal bambino che può fornirli grazie a un sistema di attaccamento radicato biologicamente. L’odio nell’adolescente può essere una conseguenza del fatto di non aver reagito adeguatamente a suo tempo ai bisogni di accudimento comunicati dal bambino.

Per quanto concerne il termine cura non si esaurisce nel comportamento di aiuto ma è un atteggiamento di interesse preferenziale all’altro (caring for e caring about). Tali qualità nelle relazioni provocano dei movimenti interpersonali specifici di reciprocità e di continuo ribilanciamento fra i due poli del dono/debito che segna la vita e le caratteristiche psichiche degli individui.

Un buono sviluppo in una famiglia è ben concettualizzato dalla metafora delle distanze e della loro regolazione. I rispettivi campi psicologici sono interpretabili come “territori”. Molti genitori pensano ai figli come delle proprietà biologiche vere e proprie e pretendono di scegliere ciò che è meglio per i figli senza tenere nella giusta considerazione i loro desideri e le loro aspirazioni o attitudini. Non hanno consapevolezza del fatto che trattano i figli come estensioni narcisistiche di se stessi a discapito dell’identità e personalità dei figli, reale e diversa dalla loro.

La natura di una relazione è definita anche dal grado di condivisione. Quando i membri sono in grado di provare sia intimità reciproca sia di differenziarsi, quando vengono garantiti contemporaneamente l’autonomia e il legame di bonding (parentela), la trasmissione delle comunicazioni è favorita e gli scambi sono possibili, questo tipo di famiglia è chiamato “connessa” (Minuchin). In altre parole, le famiglie in cui non può accadere che i figli odino i genitori o si ribellino possiamo definirle “bilanciate”. I membri utilizzano all’unisono le proprie energie per soddisfare tutti i componenti del nucleo familiare ed esiste un ottimo rapporto con l’esterno e con la vita sociale (E. Scabini).

Non dimenticate il fanciullo che è in voi, che siete stati e capirete meglio i vostri figli.

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