Si è svolta questa mattina a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, la cerimonia di consegna del Premio Nazionale Lea Garofalo, il premio dedicato alla coraggiosa donna calabrese che si dissociò dalla ndrangheta denunciando anche i suoi stessi familiari.
A ricevere il premio, dalle mani della sorella di Lea, Marisa Garofalo, Giuseppe Antoci Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi, sfuggito ad un agguato mafioso nel maggio 2016 grazie all’intervento armato degli uomini di scorta della Polizia di Stato che dopo un violento conflitto a fuoco riuscirono a mettere in fuga gli attentatori salvando la vita al Presidente. Questa la motivazione: “Per il suo impegno costante e concreto nell’opporsi all’arroganza criminale. Da Presidente del Parco dei Nebrodi ha dimostrato con i fatti e non solo con le parole che è possibile contrastare economicamente le mafie. L’attentato subito e perpetrato da vigliacchi criminali non ha fermato l’azione di contrasto e non deve farci indietreggiare di un millimetro per arrivare al giorno della liberazione”.
“Questo riconoscimento è per me un grande onore ma anche una grande responsabilità – dichiara Giuseppe Antoci nel ritirare il premio. La storia di Lea ci impone una grande riflessione e ci pone davanti al valore della scelta, quella portata avanti da una donna coraggiosa che ha detto no alla ndrangheta e a chi, anche in famiglia, voleva imporgliela” – continua Antoci.
La storia di Lea è una grande storia di coraggio. Dal 2002 al 2009 pose in essere tutta una serie di collaborazioni con la giustizia apportando significativi aiuti alle indagini contro la ndrangheta, ma il 24 novembre del 2009, Carlo Cosco, l’ex compagno di Lea (ormai fuoriuscita da mesi dallo speciale programma di protezione) attira Lea a Milano, anche con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise.
Quella, approfittando di un momento in cui Lea rimane da sola senza Denise, Cosco la conduce in un appartamento che si era fatto prestare proprio per quello scopo. Ad attenderli in casa c’è Vito Cosco detto “Sergio”. In quel luogo Lea viene uccisa. A portar via il cadavere da quell’appartamento saranno poi Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Il corpo di Lea viene infatti portato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, dove viene poi dato alle fiamme per tre giorni fino alla completa distruzione (solo dopo la condanna di primo grado, Carmine Venturino inizia a fare dichiarazioni che nel processo d’Appello porteranno a rinvenire più di 2000 frammenti ossei e la collana della donna).
“Oggi nel ricevere il premio, il pensiero è andato a Lea, a quella scelta, a quella paura, a quella crudele morte. È proprio di quella scelta che dobbiamo farci carico, scegliere tra loro e noi, tra la vita e la morte, tra la dignità e la prevaricazione. Lea ha scelto, per onorare però il suo sacrificio dobbiamo farlo anche ognuno di noi. Senza paura e forse senza neanche coraggio. Con normalità. Facendo ciò faremo sia una carezza a quel cuore spezzato di Lea che a quello ancora vivo e che pulsa in ognuno di noi” – conclude Antoci.