Messina Denaro e Massoneria. Sono queste le parole chiave utilizzate dal procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Teresa Maria Principato, oggi in audizione dinanzi la Commissione parlamentare antimafia. Una latitanza lunga 23 anni, partita da Castelvetrano, cittadina del trapanese fortemente ancorata nelle gerarchie di Cosa Nostra. “In questi anni abbiamo proceduto all’arresto di quasi tutti i familiari di sangue di Messina Denaro – sorella, cugini, cognati, tutti coloro che gli erano vicini – io pensavo che questo potesse suscitare nell’uomo una reazione ma l’uomo non è normale, è molto freddo. Dopo otto anni di studio è quasi normale che si ragioni come se lo si fosse conosciuto”. Da quasi due anni il Ministero dell’Interno ha predisposto un gruppo di ricerca con sede a Palermo composto dalle Squadre mobili di Palermo e Trapani, dello Sco, del Ros e del comando provinciale dei carabinieri di Trapani e da oltre un mese – ufficialmente – anche i servizi segreti.
Tra le indagini principali, quella che lega i destini del latitante alle logge massoniche. “La massoneria è un argomento molto scivoloso rispetto al quale c’è una sorta di resistenza da parte di tanti. Ho ricevuto molte lettere da parte di massoni che mi hanno rimproverato aspramente di occuparmi di massoneria deviata e che dessi una connotazione negativa al fenomeno, sono stata bersagliata”. Sulla gestione delle logge massoniche anche la Procura di Trapani sta conducendo un indagine e nei mesi scorsi il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico – in seguito ad alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Tuzzolino – aveva potenziato la scorta al Procuratore capo Marcello Viola, adesso trasferito alla Procura generale di Firenze. “Ci vuole coraggio per affrontare l’argomento e superare la resistenza di chi mette in discussione e ridicolizza i risultati del tuo lavoro. Per parlare di massoneria dovrei fare una ricostruzione delle peculiarità della mafia trapanese, una mafia con una grossa vocazione imprenditoriale, sicuramente maggiore di quella palermitana, una vocazione che ha fatto sì che dopo la stagione stragista, nel territorio, vigesse una sorta di pax mafiosa volta alla salvaguardia degli interessi economici che si perseguivano, di notevolissimo calibro“.
“Matteo Messina Denaro è abituato a tutti gli artifici della latitanza: dopo un arresto e dopo che le attenzioni degli investigatori si soffermano su una persona, immediatamente cambia strada e investe su qualcosa di diverso“. Altro momento della strategia per la cattura del boss è quello dei provvedimenti di confisca, “essendo lui così profondamente legato al denaro e ai suoi interessi“: i provvedimenti di sequestro e confisca superano milioni di euro. “Pensate – ha detto il magistrato – che solo la catena della Despar è stata oggetto di confisca per 850 milioni” e da una delle ultime indagini è emerso l’interesse di un imprenditore, Domenico Scimonelli (gestore occulto di un esercizio commerciale, arrestato nell’operazione Ermes nell’agosto dello scorso anno) che stava tentando di riappropriarsene.
“Questi sistemi – ha proseguito la Principato – hanno sortito dei risultati, anche se non quelli sperati. Si è rotto il muro di omertà che tradizionalmente ha circondato la famiglia di Matteo Messina Denaro. Ha cominciato – pur non richiedendo di essere inquadrato come collaboratore – il cugino Lorenzo Cimarosa che dopo l’inizio di una timida collaborazione (era stato già detenuto tre anni per favoreggiamento) ci ha aiutato ad inquadrarlo, a capirne la struttura mentale. Lo ha definito un parassita, un personaggio che si nutriva del lavoro degli altri senza dare niente in cambio”. Recentemente la moglie di Cimarosa, Rosa Filardo cugina di Messina Denaro, intervistata da Tg1 dossier ha lanciato un appello: “Basta con la mafia, la mafia non porta né sviluppo, né ricchezza. Con la mafia, la popolazione e i giovani non hanno futuro. Proteggiamoli i nostri giovani” ed è su questa presa di coscienza che il procuratore aggiunto di Palermo ha acceso i riflettori.