Nonostante i deputati europei lavorano sull’inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, in Italia si fa la guerra.
La premier Giorgia Meloni ha sempre sottolineato che “Non voglio abolire o modificare la legge sull’aborto, ma applicarla integralmente”.
Allora perché è stato approvato in Senato un provvedimento che consente di operare all’interno dei consultori familiari alle associazioni anti-abortiste (anche chiamate pro vita)?
La premier sostiene che “per fare una libera scelta è necessario avere tutte le informazioni. Questo è quello che prevede la legge 194 e credo che sia la cosa giusta da fare”.
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite” si legge nell’articolo 1 della legge.
L’articolo 3 indica invece tra le responsabilità dei consultori quella di contribuire “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” e la possibilità di avvalersi di associazioni di volontariato che “possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita“.
Il provvedimento che consentirebbe le associazioni anti-abortiste di operare all’interno dei consultori sta scatenando, per molti è l’ennesimo ostacolo alle donne in tema di libera procreazione che aggrava ulteriormente la situazione in Sicilia.
Il sindacato Cgil ha difatti scritto al governo regionale e alle deputate dell’Ars Palermo, chiedendo al governo regionale di non aprire i consultori alle associazioni pro vita, possibilità data da un recente decreto sull’utilizzo dei fondi del Pnrr per queste strutture.
Oltre la “la piena attuazione della legge 194/78 e il rispetto della destinazione dei fondi del Pnrr”, il sindacato ha colto l’occasione per sottolineare alcune criticità del servizio, in relazione anche all’interruzione volontaria di gravidanza, chiedendo di “intervenire con urgenza per la difesa della salute delle donne”.
Le criticità nell’Isola
La Cgil segnala che “ le suddette criticità emergono anche dalla relazione ministeriale, che pur offre un quadro parziale. Si rilevano tuttavia per i consultori – sottolinea il sindacato – una capacità attrattiva rispetto alla popolazione del 3,8%, (dato nazionale 5,2%); la copertura del servizio da parte della figura professionale dell’ostetrica soltanto per 19 ore settimanali , per 14 ore dell’assistente sociale; per 21,6 ore del ginecologo. In sintesi l’equipe completa è assicurata soltanto per l’0,4% del servizio”.
Le esponenti della Cgil Gabriella Messina ed Elvira Morana rilevano che “l’ esiguità del servizio (1 consultorio per oltre 26 abitanti invece che 1 ogni 20mila) viene rilevata dallo stesso assessorato nella relazione sulla programmazione della medicina territoriale. Per quanto riguarda i dati sull’interruzione volontaria di gravidanza emerge che su 57 strutture con reparto di Ostetricia e ginecologia quelle che effettuano IVG sono n. 31; dalla lettura analitica delle strutture si rileva poi che gli interventi vanno da uno 0,02 ad un 13,4 in una singola struttura. Questi dati ci consegnano un sovraccarico in una struttura del 13,4 a fronte della media nazionale 0.9 e di quello regionale 1,8% con serio pericolo sia per la salute della donna sia per il personale medico stesso”.
La Cgil, inoltre, sottolinea:
- l’alta percentuale di medici obiettori, l’85%;
- i tempi d’attesa lunghi da cui deriva una non appropriatezza della procedura;
- un’interruzione farmacologica non in linea con le ultime linee guida.
“Un quadro, insomma – conclude il sindacato – che conferma la disattenzione di una classe politica prevalentemente al maschile che non ha mai posto al centro delle politiche pubbliche i bisogni delle donne”.
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