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Progetto Oltremura, concluso il primo workshop al carcere Pagliarelli

giovedì 3 Ottobre 2019
Claudia Calcagnile
Claudia Calcagnile

Si è concluso il primo dei tre workshop formativi previsti nell’ambito del progetto Oltremura, percorso teatrale rivolto alle detenute dell’Istituto Penitenziario Pagliarelli di Palermo ideato e promosso dall’Associazione Mosaico.

Il progetto nato nel 2015, sotto la direzione artistica di Claudia Calcagnile, si arricchisce quest’anno dell’esperienza di artisti esterni coinvolti nella conduzione di incontri formativi; al primo workshop “Il corpo della voce” di Miriam Palma seguiranno quelli di Auretta Sterrantino e di Anna Gesualdi e Giovanni Trono per TeatrInGestazione. Il progetto Oltremura è realizzato quest’anno in collaborazione con la Fondazione Peppino Vismara, il Teatro Biondo, il Comune e l’Università degli Studi di Palermo e il sostegno di agenzie culturali locali e nazionali: l’Associazione Lisca Bianca, Colibrì Film, Edizioni Precarie, Cotti in Flagranza e Trust.

Il risultato del percorso teatrale sarà la produzione del terzo spettacolo della Compagnia Oltremura che anche quest’anno debutterà nel teatro del Carcere Pagliarelli per poi approdare nel Teatro Biondo della città di Palermo nella primavera del 2020. L’Associazione Mosaico mira alla creazione di una Compagnia Teatrale stabile che possa far circolare i propri spettacoli all’interno del panorama teatrale nazionale. A riprova dei risultati già ottenuti si comunica che lo spettacoloIn stato di grazia, realizzato nel dicembre del 2108 con le attrici detenute, è stato selezionato per partecipare alla rassegna nazionale “Destini incrociati” del più importante festival italiano di Teatro in Carcere il prossimo dicembre.

“L’esperienza teatrale di Oltremura – afferma Claudia Calcagnile, direttore artistico del progetto – parte dall’idea di un teatro al servizio della persona e della comunità e ha visto negli anni il coinvolgimento di circa 200 detenute, dai 18 ai 65 anni e di diverse nazionalità. La compagnia vive e realizza il suo lavoro in continua relazione con i limiti, quelli architettonici della struttura di detenzione e quelli individuali di ciascun essere umano. Il continuo scontro con questi limiti ci muove verso un lavoro di ricerca che mette al centro della scena la persona e non il personaggio nel tentativo costante di destrutturare ed eliminare tutto ciò che non è necessario. Il lavoro tende all’essenza, alla sottrazione del superfluo, per arrivare a una forma integra e perfetta. Il carcere rappresenta per noi quel luogo capace di rinnovare il linguaggio e di restituire al teatro la sua funzione originaria”.

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