Esistono posti che non conoscono il tempo che scorre. Incastonato tra i palazzi del Cassaro, a Palermo e il mare, vi è uno spazio che tintinna di silenzio e di quella melodia che fa il cucchiaino che gira il caffè e finisce il suo movimento circolare sbattendo sul margine superiore della tazzina. Tintin, appunto. Mentre i tuoi passi sul marciapiede scansano i turisti distratti, nessuna insegna ti annuncia che lui esiste.
E allora ti pare di entrare in una dimensione a-temporale, sospesa, impertinente. Nessun orpello, un bancone di legno, una macchina del caffè, forse un tavolo di plastica rossa, poche mensole tutte impolverate, centinaia di tazzine marroni con l’interno bianco capovolte dentro al lavandino rotondo in attesa d’essere lavate. Da qui passano centinaia di persone, ovvio.
Ma come si chiama questo bar che poi bar non è?
Un uomo sulla sessantina sorride poco, porta i guanti neri in lattice proprio come quelli del mio parrucchiere quando colora i capelli a me e alle altre clienti.
Lui è Baldo, il re del caffè e di quel bar che bar non è. Che nome altisonante e bello.
Come poteva chiamarsi un uomo che prepara il caffè più buono al mondo se non Baldo? Il rito è magico e lunghissimo, una danza che non è mai abitudine. I chicchi diventano polvere con un rumore perfetto, un “grrr” che non ha bisogno di vocali. Soave come il gesto di attivare tutte le levette della macchina, il suo marchingegno perfetto e magico, in attesa di quella bevanda scura e della prova degli astanti: lo zucchero non scende, la crema è perfetta, il sapore è unico.
Baldo risponde poco, anzi parla solo se interpellato. Forse non parla affatto e soprattutto fa finta di non sentire. È lì per preparare il suo nettare mica per intrattenere dialoghi sui massimi sistemi! E si capisce che il silenzio lo esige per sé e per gli altri.
“Mi scusi potrebbe correggerlo con un po’ di sambuca?” dice un uomo guardandolo negli occhi.
“No” risponde lui, mentre avrà pensato alla violenza di vedere il suo capolavoro corretto da altri sapori. “Ma ho più di 40 anni” scherza il signore. “No, non vendo alcolici”. Chissà quando sarà costato alle sue corde vocali far vibrare questa frase minima…
Baldo fa solo caffè, senza fronzoli e aggiunte. Anche le parole sono di troppo per lui, il caffè si gusta in silenzio. Lo zucchero non si trova in bustine (che orrore!) e attorno a lui tutto è essenziale. Una zuccheriera da salotto piccola e in acciaio come quella delle nonne, nessuna corbelleria confezionata e industriale, solo qualche cornetto arrivato da un panificio, quelli che non si gonfiano quando li riscaldi.
Fa questo mestiere da sempre ed ha scritto a chiare lettere che non intende parlare con nessuno, però ascolta e lo fa a partire dai suoni che emette il genere umano quando prova piacere, quel piacere che attiva il pensiero e l’azione.“ Sglorb” “Hmm”, “mmh!” gli ideofoni che rendono l’idea senza bisogno di aggiungere altro. Baldo ormai li conosce a memoria e gioisce. Come dargli torto? Ecco, quella dimensione ricorda proprio un fumetto, vignette silenziose però di un cinema muto, quando la prossemica e la cinestetica sostituivano l’eloquio.
E i suoi occhi urlano senza parlare: “adesso “Shhh” è l’ora del caffè!”.
Cose che possono accadere solo a Palermo, in questa città meravigliosa che da sempre cuoce a fuoco lento, fuori dal tempo e dallo spazio.