Il Parlamento Europeo si risveglia per avviare una riforma del quadro legislativo di riferimento per contrastare l’illecita commercializzazione di opere d’arte. Una sorta di mea culpa per la “insufficiente attenzione prestata alla restituzione di opere d’arte saccheggiate, rubate o ottenute illegalmente durante conflitti armati, in particolare nei settori del diritto privato, del diritto internazionale privato e della procedura civile”.
Un’arma a doppio taglio, che potrebbe confondere un quadro giuridico già abbastanza farraginoso, dove basterebbe invece imporre la ratifica dei trattati esistenti, ordinandone agli Stati membri la corretta implementazione governativa.
Argomenti ampiamente ben trattati come ad esempio la Convenzione dell’Aia del 1954 che riguarda proprio la protezione dei beni d’arte in tempo di guerra, seguita dalla Convenzione UNESCO del 1970 per arrivare all’ultima convenzione UNIDROIT del 24 giugno del 1995 sulle esportazioni illegali degli oggetti culturali.
Negli ultimi tempi, il Parlamento europeo, come Giano bifronte, guarda al passato, per la restituzione delle oltre 500.000 opere d’arte depredate durante la seconda guerra mondiale; ed al presente per i continui saccheggi dei tesori che si trovano nei siti archeologici degli stati come la Libia, la Siria e l’Iraq. Una realtà sempre più fiorente che forniscono circa l’80-90% dei beni archeologici presenti sul mercato mondiale (rapporti della Commissione europea) spesso esposti in sedi museali.
Ma il dato ancora più grave sta nei rapporti dei servizi segreti iracheni, che a seguito di una “bonifica” in una casa di un comandante morto dell’ISIS, hanno rinvenuto tra i file del suo computer importanti informazioni dettagliate su operazioni finanziarie, tra cui la tracciabilità di una operazione contabile che l’ISIS aveva registrato sul contrabbando di reperti archeologici saccheggiati che aveva fruttato, nella sola regione della Siria, ben 36 milioni di dollari “puliti”.
Monili, ceramiche e monete antiche, ma anche dipinti e gioielli che sono stati razziati dai militanti dell’ISIS in Siria e in Iraq vengono messi in vendita su eBay dallo Stato islamico per finanziare la sua guerra santa contro l’Occidente. Secondo il giornale ‘The Times’, sarebbero aumentate a dismisura le vendite sui siti internet di aste online di importanti pezzi archeologici presi dai militanti dell’ISIS, ritenuti scomparsi dalla Siria e dall’Iraq ed invece riapparsi su eBay, dove collezionisti di tutto il mondo se li contendono. Alimentando la distruzione di grandi siti archeologici, vere custodi di civiltà, per finanziare il terrorismo.
I furti maggiori di reperti archeologici di ogni tipo si registrano in Iraq, dove tutti i siti di interesse, soprattutto quelli con scavi in corso, sono stati sistematicamente razziati, e in Siria cinque siti su sei dell’Unesco sono stati seriamente danneggiati dalla ricerca di reperti da vendere su internet.
Secondo l’UNESCO, i furti di reperti avverrebbero addirittura su commissione. Uno è quello di un mosaico romano della città di Apamea (fondata da uno dei generali di Alessandro Magno e dichiarata nel 1999 patrimonio dell’umanità), nella Siria occidentale: è stato staccato con i bulldozer e poi probabilmente fatto arrivare nei ricchi Paesi del Golfo Persico, dove gli sceicchi sembrano particolarmente interessati ad appropriarsi di antichità d’arte. Fatto sta che, secondo gli esperti interpellati dal quotidiano londinese, i prezzi delle monete antiche provenienti dagli scavi di Iraq e Siria sarebbero notevolmente diminuiti nelle ultime settimane: segno che la loro disponibilità sul mercato è molto aumentata con l’arrivo dei reperti messi in vendita dall’ISIS.
Oggi gli agenti dei servizi segreti iracheni continuano ad analizzare i file dell’ISIS per determinare quale ruolo gli estremisti sunniti stanno avendo nel fiorente commercio illegale di antichità della Siria. Ed identificare i commercianti e archeologi senza scrupoli, molto abili nel riciclaggio degli oggetti saccheggiati.
Acquirenti forse inconsapevoli, o senza volerlo sapere, si rendono complici della distruzione della storia e che pur di avere quell’oggetto, non si chiedono se i propri soldi saranno utilizzati per comprare altre munizioni.