Scarcerato 6 anni fa, dopo essere stato condannato per mafia (8 anni e 8 mesi, pena scontata) e ora col divieto di tornare a Corleone, Giuseppe Salvatore Riina, figlio del capo dei capi Totò (all’ergastolo), è rientrato nella sua città lo scorso 29 dicembre per fare da padrino al battesimo della figlia della sorella, dopo avere ottenuto il permesso del giudice.
Riina jr, scrive Repubblica, s’è presentato alla chiesa madre con il certificato di idoneità rilasciatogli da un parroco di Padova. Così don Vincenzo Spizzitola, prete di Corleone, gli ha aperto le porte per la cerimonia. Una scelta che viene contestata da monsignor Michele Pennisi, vescovo di Monreale cui appartiene la comunità ecclesiale di Corleone, tra i prelati più impegnati sui temi della lotta alla mafia. “Né io, né gli uffici della Curia eravamo informati – dice il vescovo – Consentire al figlio di Riina di fare il padrino di battesimo è una scelta censurabile e quanto meno inopportuna, che io non approvo“.
Monsignor Pennisi ricorda che il padrino “deve essere il garante della fede, deve dare testimonianza con le sue azioni: e non mi risulta che il giovane abbia mai espresso parole di ravvedimento per la sua condotta”. Il vescovo al rientro dalla Tanzania farà una visita pastorale a Corleone: “C’è bisogno di parole chiare sulla mafia, certi episodi non sono più tollerabili”.
La scomunica ai mafiosi è cosa nota. Come dimenticare il celebre anatema di Papa Wojtila ad Agrigento nel 1993:
E la recente scomunica ai mafiosi di Papa Francesco:
“A prescindere che si chiami o meno Riina, il padrino secondo la Chiesa viene scelto perché dà una sorta di indirizzo morale al figlioccio. Non credo che un condannato per mafia, anche se è uscito dal carcere, possa avere quei principi morali che consentano di dare ad un ragazzo il giusto indirizzo per fare delle scelte edificanti nella propria vita”. Lo ha detto Maria Falcone, a margine della consegna all’Ars delle borse di studio intitolate ai giudici Falcone e Borsellino.