All’Ars si discute di un disegno di legge per il riordinamento degli usi civici in Sicilia, in questo momento al vaglio della commissione Attività produttive. C’è la necessità di un coordinamento fra la disciplina dei beni comuni e una nuova definizione degli usi civici come diritti per l’accesso alla terra e il cui esercizio è funzionale ad un nuovo fenomeno di sviluppo rurale.
Il focus sui domini collettivi, disciplinati da una legge che risale al 1977 e poi modificata nel 2017, si riapre dopo anni di silenzio e riporta all’attenzione pubblica il dibattito sui beni collettivi e sul loro uso da parte dei Comuni. Si tratta di tutti quei diritti (storici) di godimento, su terre private o di pubblica proprietà, la cui titolarità spetta a “una collettività di persone appartenenti a un determinato territorio, che – come riportato dal ddl 496 – possono trarne alcune utilità al fine di soddisfare principalmente bisogni primari”.
Il legislatore regionale non ha mai affrontato la materia in maniera organica, ma adesso il quadro sta per cambiare. Il presidente della commissione Attività produttive dell’Ars Gaspare Vitrano spiega che “Tutta l’Italia si sta adoperando per rivalutare questo comparto, c’è stato un incontro importante con il presidente della Corte dei conti che ci ha fornito suggerimenti tecnici per portare avanti la legge. In commissione ci stiamo lavorando e anche con una certa celerità. In Sicilia molti comuni godono di parecchi usi civici e sarebbe un’occasione importante per i cittadini di riappropriarsi del territorio e di capire il tipo di opportunità a disposizione rispetto a questo istituto giuridico”.
Per mercoledì è stata calendarizzata una ulteriore audizione per procedere con l’approvazione della proposta di legge. Su questo fronte, la riforma prevede che la Regione promuova misure di sostegno e di valorizzazione dei domini collettivi nell’ambito dei processi di programmazione delle risorse extraregionali e svolga una serie di funzioni amministrative, quali la liquidazione degli usi civici, lo scioglimento delle promiscuità, la verifica delle occupazioni e la destinazione delle terre di uso civico e delle terre provenienti da affrancazioni, comprese le nomine di periti ed istruttori per il compimento di tutte queste operazioni.
La normativa sui domini collettivi – che comprendono sia le terre di proprietà collettiva che i corpi idrici, quali boschi, pascoli, terreni seminativi, malghe, corsi d’acqua -, è espressione di una nuova mentalità secondo cui, piuttosto che liquidare gli usi civici restituendoli alla logica dello sfruttamento individuale delle risorse, mira a preservarli per il futuro, riscoprendo i valori che ad essi sono connaturati, quali il paesaggio, la responsabilità intergenerazionale, la riscoperta delle tradizioni e dell’identità dei luoghi. In quest’ottica, i domini collettivi si rivelano un indispensabile mezzo per rinnovare e sensibilizzare la società civile nella gestione sostenibile di fondamentali beni comuni. Beni che non si sovrappongono a forme di proprietà pubblica o privata. In particolare i terreni sui quali si esercitano usi civici saranno distinti in due categorie: terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente, e terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.
La riforma istituisce anche un Tavolo di coordinamento regionale sui domini collettivi, con delibera di giunta e su proposta dell’assessore regionale all’Agricoltura, che provvede alla ricognizione dei domini collettivi ad uso civico attraverso la formazione di un inventario generale. Ha anche il compito di formulare proposte e pareri per migliorare la legge e in funzione delle esigenze dei Comuni. Infatti tra i componenti del Tavolo tecnico ci sarebbero due rappresentanti degli Enti locali indicati da Anci Sicilia; il Commissario per la liquidazione degli usi civici della Sicilia facente capo al Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale, che lo presiede direttamente o tramite un suo delegato, e un funzionario della medesima struttura e infine uno specialista esperto nel settore dei domini collettivi.
Il ddl contiene, dunque, una mission importante: evitare di svendere il patrimonio pubblico e abbandonare all’incuria i beni civici. Diversamente, significherebbe ignorare le istanze che provengono dal basso, non tener conto delle esigenze di un nuovo modello di agricoltura connesso al bisogno di una sovranità alimentare che ponga il tema del controllo della produzione e del controllo delle risorse.