Un passo avanti, ma ancora troppo lento per la Sicilia. È questa la fotografia che emerge dal nuovo report AGENAS sulla chirurgia robotica in Italia. Nel 2023 l’Isola ha superato i 1.200 interventi robotici, partendo dai soli 172 del 2018, una crescita significativa che testimonia l’avvio di un percorso. Ma i numeri, se confrontati con il resto del Paese, restano deludenti. La Sicilia è, infatti, la regione con la percentuale più bassa di interventi robotici rispetto al totale delle procedure chirurgiche, con una quota che non raggiunge il 3%. In Lombardia, nello stesso anno, gli interventi hanno superato quota 7.000. A seguire il Veneto e l’Emilia-Romagna che hanno ormai consolidato la chirurgia robotica come pratica di routine in più discipline.
La Sicilia, invece, pur avendo investito in alcune piattaforme e avendo avviato programmi formativi, rimane ancora in rincorsa.
La nascita della chirurgia robotica
La chirurgia robotica non è un’invenzione recente. Le sue radici risalgono agli anni Ottanta, quando la NASA e il Dipartimento della Difesa statunitense iniziarono a studiare sistemi per operare a distanza, immaginando interventi nello spazio o su campi di battaglia remoti. Il primo vero sistema clinico fu introdotto negli anni Novanta, fino all’arrivo del da Vinci, approvato dalla FDA nel 2000 e rapidamente adottato in urologia per la prostatectomia radicale.
Da allora il campo si è allargato. Il da Vinci è diventato lo standard, seguito da nuovi sistemi come l’Hugo RAS di Medtronic e il Versius di CMR Surgical, pensati per rendere la tecnologia più modulare ed economicamente accessibile. I primi interventi robotici in Italia risalgono ai primi anni Duemila, con l’urologia in prima linea, seguita dalla chirurgia generale. Oggi la chirurgia robotica è presente in quasi tutte le regioni italiane, con un numero di piattaforme che supera le cento unità.
Il quadro nazionale
In Italia, tra il 2018 e il 2023, il numero di interventi robotici è cresciuto di oltre il 150%. Le discipline più rappresentate sono l’urologia, che da sola raccoglie oltre il 40% dei casi, la chirurgia generale con resezioni coliche e colecistectomie in forte aumento, la ginecologia con le isterectomie e, più recentemente, l’ortopedia, con le prime protesi di ginocchio e anca eseguite con il supporto robotico.
La distribuzione resta però diseguale. Nord e Centro accumulano la maggior parte dei casi, con un livello di utilizzo che permette di fare formazione avanzata e consolidare le competenze. Al Sud i numeri crescono, ma a un ritmo più lento. In regioni come Molise e Calabria i sistemi sono assenti o poco utilizzati, mentre la Trinacria ha iniziato a crescere solo negli ultimi anni.
Numeri, centri e piattaforme in Sicilia
Nel 2018 la Sicilia contava appena 172 interventi robotici (0,55%); nel 2023 ha superato i 1.200 (3% del totale). È ancora la quota più bassa d’Italia in rapporto all’attività complessiva, ma la crescita è netta e continua, in linea con il trend nazionale che vede l’urologia come specialità trainante, seguita da chirurgia generale e ginecologia.
Nel 2023 l’Isola concentra circa il 5,4% dei sistemi da Vinci presenti in Italia, segno che la dotazione tecnologica esiste, ma deve essere pienamente messa a regime attraverso programmazione, formazione e distribuzione più capillare. Questa percentuale corrisponde a pochi sistemi distribuiti nei principali poli universitari e ospedalieri.
Se si guarda all’insieme delle procedure chirurgiche, il quadro resta però eloquente. Nel 2023 in Sicilia si sono registrati circa 14.688 interventi open (61,5%), 9.168 laparoscopici (38,4%) e appena 45 robotici (0,2%). Nel 2022 i numeri non erano molto diversi: 15.843 open (59,5%), 10.685 laparoscopici (40,1%) e 90 robotici (0,3%). Questi dati fotografano una realtà in cui la chirurgia tradizionale e laparoscopica continuano a dominare, mentre la robotica resta confinata a numeri minimi, nonostante la presenza di piattaforme già attive.
In quegli anni, fino al 2023, la chirurgia robotica in Sicilia ruotava attorno a cinque centri principali. A Palermo il Policlinico “Paolo Giaccone” utilizzava un sistema da Vinci in urologia, chirurgia generale e ginecologia, diventando anche un punto di riferimento per la formazione. Sempre a Palermo, l’ARNAS Civico-Di Cristina-Benfratelli aveva avviato la robotica con applicazioni in chirurgia generale e urologia.
A Catania, il Policlinico “G. Rodolico – San Marco” impiegava un da Vinci nelle stesse tre aree, mentre l’ARNAS Garibaldi si concentrava soprattutto su urologia e chirurgia generale. L’Ospedale Cannizzaro utilizzava la piattaforma quasi esclusivamente in ambito urologico.
Costi e benefici della robotica
Uno degli aspetti più delicati legati a questa tecnologia riguarda il costo. Un sistema robotico ha un prezzo di acquisto compreso tra i 2 e i 3 milioni di euro, cui si sommano i materiali di consumo, spesso proprietari e quindi non sostituibili con equivalenti più economici. A prima vista può sembrare un investimento insostenibile per il Servizio sanitario nazionale, che già si confronta con risorse limitate e liste d’attesa crescenti. Tuttavia, i sostenitori della chirurgia robotica sottolineano che i benefici in termini di precisione, riduzione delle complicanze e minore degenza post-operatoria possono, nel lungo periodo, contribuire a un risparmio complessivo per il sistema e a un miglioramento della qualità dell’assistenza.
Nelle procedure urologiche, ad esempio, il costo aggiuntivo rispetto alla laparoscopia è inferiore a 5 euro per paziente. Se si guarda alla prospettiva sociale, la bilancia si sposta nettamente a favore della robotica: meno complicanze, degenze più brevi, ritorno più rapido alla vita lavorativa. Il risparmio stimato è di oltre 100 euro per paziente in giornate di lavoro recuperate.
Significa, quindi, che la chirurgia robotica, nel medio periodo, fa risparmiare il sistema sanitario e genera un beneficio netto per la collettività. Non è quindi una spesa improduttiva, ma un investimento che porta valore economico, oltre che clinico.
La ferita della mobilità sanitaria
La Sicilia, però, di questi benefici incassa solo una minima parte. Il basso utilizzo della robotica e la scarsità di centri spingono molti pazienti a spostarsi altrove, soprattutto per interventi di urologia e, sempre più, di ortopedia. Il risultato è che la Regione, invece di capitalizzare i risparmi e i guadagni legati a questa tecnologia, si trova a dover rimborsare le prestazioni eseguite in altre regioni.
La mobilità sanitaria, pertanto, ha un peso enorme. Ogni anno la Sicilia registra un saldo negativo di mobilità sanitaria compreso tra 130 e 330 milioni di euro. Se si ipotizza che anche solo il 5-10% di questa spesa sia legato alla chirurgia robotica, il danno economico si traduce in una perdita compresa tra 6,5 e 33 milioni di euro l’anno. Una cifra che non solo drena risorse dal bilancio regionale, ma priva gli ospedali siciliani dell’occasione di accumulare esperienza, crescere e formare nuovi professionisti.
Le sfide da affrontare
Oggi però la rete si sta ampliando. Nel 2025 la chirurgia robotica in Sicilia non si limita più ai centri storici. A Palermo il Policlinico “Paolo Giaccone” ha affiancato al da Vinci il robot CORI per la protesica di ginocchio. Sempre nel capoluogo, l’Ospedale Ingrassia ha introdotto la piattaforma Mako, già utilizzata in oltre cento interventi protesici di anca e ginocchio. All’ISMETT è stato eseguito il primo intervento di cardiochirurgia robotica al cuore con il sistema da Vinci: un bypass aorto-coronarico che rappresenta una novità assoluta per il Sud Italia.
A Catania il Policlinico “San Marco” ha superato i 160 interventi nel primo anno di attività con il da Vinci, consolidandosi come punto di riferimento per urologia, chirurgia generale e ginecologia. Ad Enna, l’Umberto I ha inaugurato la robotica con il nuovo Hugo RAS. Altri ospedali stanno valutando di avviare programmi simili, segno che la mappa è destinata ad allargarsi ulteriormente.
Il report AGENAS mette in chiaro un punto: la chirurgia robotica ha bisogno di percorsi di training ben strutturati. Si parte dalla teoria, si passa alle simulazioni su modelli e poi al tutoraggio con proctor esperti. Oggi entrano in gioco anche strumenti innovativi come la telementoring, l’eye-tracking, la stampa 3D e l’intelligenza artificiale per valutare le performance. Non basta quindi avere la macchina, ma serve un percorso sicuro che coinvolga chirurghi, assistenti, strumentisti e tutto il team di sala operatoria.
Per la Sicilia la sfida più grande è trasformare la presenza di nuove piattaforme in un’occasione di crescita e di fiducia. Questo significa ridurre la migrazione dei pazienti e restituire dignità ai professionisti. Solo così il ritardo accumulato può diventare un’opportunità di cura e di equità.