La 28^ puntata della rubrica “Romanzi da leggere online” prosegue con l’undicesimo capitolo del romanzo di Caterina Guttadauro La Brasca, “La voglio gassata”.
CAPITOLO 11°
Perdendole entrambe, capii perché alla base di ogni scelta c’è l’amore, e la scelta è giusta se il sentimento motivante è sano e vero.
Ritornando alla realtà della giovinezza, ai ricordi che ti fanno frizzare il cuore, mi trovai sulla barca di un amico a mangiare il pesce freschissimo.
Mia nipote mi fece notare: «Zia, vengo per controllarti, lo sai che odio il pesce. Non voglio farti andare da sola, questa estate sei troppo corteggiata ed io vorrei ritornare a casa insieme a te.»
Aveva ragione, anche se non glielo confermai.
Dovetti riconoscere di essere facile agli innamoramenti.
Forse, essere sempre vissuta in una casa in cui la malattia era ormai un’inquilina stabile, mi rendeva più propensa a vivere con leggerezza.
In quella gita ci raggiunse un amico del proprietario della barca, e complici cielo, sole e mare, ci innamorammo. Ero molto simile a mio padre, avevo la sua stessa sete di vita, di allegria, di gioco ed ero, proprio come lui, coinvolgente. Il mio nuovo incontro si chiamava Piero.
Marzia, al ritorno cingendomi le spalle affettuosamente, mi disse: «Ziona, avevo ragione o no? L’hai colpito.»
«Ma no, tentai di replicare, è solo una persona gentile e premurosa, del resto è così anche con te, no?»
Sapevo bene di mentire. Piero mi piaceva e doveva conquistare la fiducia di mia nipote per avere campo libero.
Marzia, intanto, aveva iniziato il suo rapporto con il ragazzo di Olbia. Era bello vivere nello stesso momento io e mia nipote una bella storia d’amore.
Mi sentivo più giovane, non mi ponevo domande, la vita era tutta lì, non c’erano più né ieri ne domani.
Avevo bisogno di respirare salute, amore, stupore ad ogni imprevisto, consumare l’amore ogni volta che ne avevo voglia.
Il domani sfumava nei miei pensieri perché gli attimi vissuti erano magici e, quindi, stavo tanto bene nel presente.
In alcuni ma rari momenti riconoscevo di essere un’inguaribile sognatrice e di misurare l’amore degli altri alla mia maniera.
Ad esempio Marco, abitavamo nella sua casa ma non avevo per lui il minimo pensiero.
L’amore di quell’estate era un azzurro intenso perché di quel colore era la sua cornice: mare, cielo, gite quasi quotidiane in barca con le sole due persone che volevamo, il resto del mondo sbiadiva con la nostra indifferenza.
Ogni amore della vita lascia un segno particolare più o meno tangibile.
A ricordarmi l’amore di Piero fu un cavalluccio marino da lui datomi alla fine della vacanza.
Nonostante una sua venuta a Bologna, non riuscimmo più a ricreare, se non solo con la memoria, quei magici momenti vissuti insieme.
Erano ormai archiviati nei ricordi.
Da allora non mi stupisco quando sento parlare di amori estivi.
Forse è più appropriato definirli avventure che ci catturano perché liberi dai pensieri, dagli orari, dal lavoro.
La massima di mia madre a tal proposito era: Amor di villeggiatura poco la dura.
Non si trattava di grandi amori me lo dimostrava un sottile dispiacere che provavo al momento dell’abbandono. Niente che mi lacerasse l’animo, che mi rendesse sgradevole le prospettiva di ritornare a casa, soprattutto in considerazione di quanto mi pesava ricominciare a lavorare. Il rapporto con mia nipote era ormai quello tra due amiche, avevo spazzato e abbandonato tutto alle mie spalle, il cuore era pronto a ricominciare.
Mi soffermavo a pensare, certe volte, che avevo con l’amore un approccio quasi maschile.
Collezionavo incontri che mi regalavano grandi emozioni, sovrapponibili come i nostri nomi.
Con questa premessa, non poteva non risuccedere: un altro Roberto entrò nella mia vita.
Ogni sua telefonata mi metteva allegria e, poiché io ero leggibile nei comportamenti, papà chiedeva a mia mamma: «Ma chi la fa ridere così tanto?»
Mia madre rispondeva: «credo una sua collega d’ufficio».
Questa frase pareggiava i conti e lasciava tranquilli tutti.
Il nuovo Roberto si poneva diversamente dai precedenti: era già impegnato e poi era più giovane di me.
Allora era fuori da ogni schema pensare ad un compagno di vita più giovane, con l’aggravante di non essere libero.
Eppure la vita, talvolta, ci sorprende oltre ogni possibile fantasia.
Discutevamo moltissimo, c’era tra di noi una grande complicità e notai, con stupore che, quando mi parlava della sua ragazza, provavo fastidio. Me ne chiedevo la ragione supportata anche dal fatto che Roberto era fisicamente lontano dall’idea del mio principe azzurro.
Le telefonate si infittivano, amavo quel telefono perché mi permetteva di raggiungerlo tante volte nell’arco della giornata; mi auguravo che i suoi sogni fossero pagine d’amore da vivere solo con me.
Lo vedevo come protagonista di qualcuna delle favole ascoltate attentamente da piccola. Non capivo che mi stavo innamorando, che si stavano creando le premesse di un sentimento nutrito di esperienze familiari analoghe:
Anche nella famiglia di Roberto, come nella mia, c’era una nuvola buia e pesante mentre noi volevamo domeniche di sole e d’azzurro.
Sua sorella lottava con un malessere che la faceva nutrire di se stessa, delle sue insoddisfazioni, del suo rifiuto ad accettarsi, così il poco e il niente si impossessarono di lei e l’anoressia la fece sua.
Queste malattie non sono solo di chi le vive, ma diventano una battaglia per tutta la famiglia. Molto spesso, ne è la causa scatenante il rapporto sbagliato con i genitori.
Roberto, come me, per non creare altri problemi, viveva in silenzio i suoi perché, dandosi risposte forse anche non giuste.
Con queste premesse, inutile dire, che si stavano gettando le basi per una fortissima amicizia, un legame che solo i grandi dolori possono accendere. La solidarietà sentimentale è uno dei componenti più forti dell’amore, fa mettere l’uno nei panni dell’altro e comprendere tante manifestazioni che altrimenti sarebbero ingiustificabili.
Il legame tra di noi aveva, contrariamente a tutti quelli che l’avevano preceduto, anche situazioni familiari analoghe.
Compresi, anche dalle mie reazioni, di trovarmi all’alba di un nuovo giorno.
Una mattina il padre di Roberto mi comunicò che suo figlio, all’uscita di una discoteca aveva avuto un incidente.
Mi precipitai da lui angosciata, e riuscii a non scoppiare in lacrime quando lo vidi malconcio ma non in pericolo di vita, come avevo temuto.
Mi trovai a coccolarlo con un fare quasi materno e ne fui compiaciuta.
Riflettendoci dopo, mi accorsi di applicare una lezione di vita che mio padre mi aveva dato.
«Una persona meritevole va trattata bene, se è in situazione di difficoltà va addirittura adorata».
Come a dire che l’amore può compensare la sofferenza e io, coccolando Roberto, stavo facendo posto nel suo cuore al mio amore per lui.
Ero cambiata, per la prima volta non volevo lasciare macerie dietro di me ma volevo un mondo nuovo da costruire in due.
Roberto, senza saperlo, stava facendo scoprire a Roberta l’amore che si fortifica giorno dopo giorno, con la fiducia, il dialogo e la condivisione di tutto.
Avevo trovato la favola da vivere per tutta la vita, ma non ne avevo ancora consapevolezza, pur rendendomi conto che c’era un particolare che rendeva questo rapporto diverso da tutti i precedenti: la storia non si chiudeva, avremmo vissuto altre prove prima di renderci conto di avere lo stesso bisogno, la stessa sete di certezze, di essere unici l’uno nella vita dell’altro.
Caterina Guttadauro La Brasca
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Andrea Giostra
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