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Romanzi da leggere online: il primo capitolo di “La voglio gassata”

domenica 5 Maggio 2019
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Giulio D'Anna (Villa Rosa 1908 – Messina 1978), «Pescatori nello stretto», 1952, olio su tavola.

La 18 ª puntata della rubrica “Romanzi da leggere online”, continua con il 1°Capitolo del romanzo “La voglio gassata” di Caterina Guttadauro La Brasca.

Recensione

Un racconto poetico e nostalgico di quel tempo perduto pieno di belle speranze e di bei sogni, confortato da grandi personaggi di allora, noti e intimi, che hanno alimentato il futuro luminoso della bimba che confida ai lettori quello che fu la sua splendida infanzia impreziosita dall’amore infinito e incondizionato per il padre, ma anche per la madre esempio di eleganza e di raffinatezza distintiva di un periodo storico nel quale era la bellezza a proteggere il mondo dal degrado e dal consumo.

Una madre succube incolpevole dell’amore incondizionato e illimitato della propria figlia verso il padre che l’ha concepita ed allevata. E l’innamoramento adolescenziale, inebriante e sorprendente, che apre squarci imprevedibili a nuove emozioni e a nuove prospettive, a viaggi immaginati ma anche sperimentati … perché in fondo è vero che più dell’arrivare è il viaggiare pieno di speranza!

la voglio gassataPoi i colori vivaci e vitali dei fiori e delle piante che impreziosiscono le ville nobiliari e borghesi di vita agreste e di profumi che solleticano le narici di un inebriante prurito mediterraneo. Una bimba, Roberta, che racconta della cultura parentale che l’ha intimamente forgiata e che l’ha protetta, con un costante tentativo di evitamento, dai dispiaceri, dai pericoli e dai lutti della vita, con disperati e collaudati meccanismi di sottrazione dalle esperienze emozionali di dolore e di perdita affettiva. Una donna, Roberta, che da adulta dovrà affrontare la vita nella sua cruda realtà e nella sua quotidiana lotta perché sia gassata.

Chi leggerà il Romanzo di Guttadauro sperimenterà una virulenta immersione letteraria dentro quel magnifico, ma al contempo reale, modo di vivere e di affermarsi che fu l’irripetibile momento storico degli anni ‘60 e ‘70, colmo di speranza, di voglia di vivere e di creare bellezza ed eleganza; ma anche ricco di amore, di amicizia, di gelosia, di fedeltà, di delusioni, di sogni, di fragilità, di scoramento, di disperazione, di luce, di vita vissuta. Un vissuto nella quale la famiglia è il cuore pulsante della vita affettiva e relazionale di quelli che sarebbero diventati gli uomini e le donne che avrebbero preso in mano il mondo.

Il racconto di Guttadauro è anche sofferenza e dolore contemporaneo, malattia e riscatto dei giorni nostri, disperazione e resilienza di Roberta adulta, è cadere e sapersi rialzare con orgoglio e più forza di prima, perché è vero che tutto quello che è dolore e sofferenza quando superati rendono più forti. E certamente i protagonisti della nostra storia sono divenuti più vigorosi e più consapevoli del dono della vita, dell’intelligenza, della cultura e della gioia. In fondo la vita può essere giuliva solo se sappiamo apprezzarla e viverla nelle sue molteplice contraddizioni che ci danno patimento e sofferenza, ma anche amore e fantastici spruzzi di felicità.

1° Capitolo

Aprire gli occhi a un nuovo giorno e ritrovarmi in tutto ciò che mi circonda dà continuità, unisce il mio ieri al mio oggi e non mi sento mai sola.

“Io, pensavo, appena sveglia, ho sempre abitato nella stessa città e forse, questo mi fa sentire immersa in un mondo amico, un mondo che è sempre stato mio.”

Quante volte però, il mio pensiero aveva scavalcato il mio davanzale per cercare posti nuovi dove giocarmi l’esistenza! Altre volte ero uscita in cerca di affermazioni e vittorie, ma, sono ritornata sconfitta, nel mio quotidiano. Ho cercato di spiegarmi perché la vita sia un rivolo d’acqua che può dissetarmi, ma anche travolgermi nella sua incessante discesa verso il mare.

Sento ancora accanto tutte le presenze, anche quelle che il tempo ha ormai rapito, ma io avverto essere in ogni angolo, in ogni piccolo particolare, nelle loro abitudini, nei loro gesti, perché gli occhi e il cuore hanno una loro memoria.

Tutto è luce nella mia casa, non per i colori chiari dei suoi arredi, ma per l’amore di cui è intrisa ogni singola stanza, ogni pietra, ogni fiore del suo giardino. Per me è un album di immagini dal vivo che ho risfogliato tante volte in cerca di me bambina, delle cose di cui ero gelosa, degli odori buoni che permeavano l’aria.

Tante volte, già sul vialetto di casa, sono ritornata indietro ad assaggiare quella ciambella che avrebbe addolcito la mia giornata. Era una casa resa accogliente dal buon gusto di mia madre. Era il suo vanto avere scelto con cura ogni particolare, ed era un’esigenza sua, di donna amante del bello.

La rivedo spostare dei mobili, degli oggetti e, da bambina, non ne capivo la ragione. Quando si trattava di oggetti leggeri, mia madre chiedeva il mio aiuto, forse per regalarmi questa sana abitudine.

In certi momenti della vita in cui non ci si può concedere nulla perché assorbiti dal dolore, anche soltanto cambiare la collocazione delle cose significa che cerchi un assetto diverso della tua vita. Dove puoi farlo, se non a casa dove vivi i tuoi giorni, talvolta l’uno uguale agli altri? Mia madre ci teneva a rendere la casa più accogliente, più simile a un luogo ricco di calore e di amore, un porto dove i suoi figli avrebbero potuto sempre, in qualunque momento, ritornare.

Questo pensiero faceva esplodere nella mia mente le immagini di un sole quasi spento che calava all’orizzonte per fare spazio alla luna, complice con il buio di tante passioni consumate e non. Un tempo i marinai partivano proprio a quell’ora per rendersi amico il mare e qualche ragazza rimaneva sulla riva a salutare il suo giovane amore, facendo un cenno di saluto anche quando le barche erano sparite all’orizzonte.

Erano immagini, ormai ricordi, di me bambina che scendevo sulla spiaggia nelle ore meno calde, diceva mamma, per non scottarmi. Li, ferma immobile, con lo sguardo spiavo queste scene e cominciavo a capire il valore del silenzio, dell’attesa, della pazienza che animava i pescatori in cerca di pane per i loro figli.

Le loro case erano piccole e l’una accanto all’altra sembravano sostenersi, ma erano dipinti con colori forti, con dei balconi pieni di fiori e i panni stesi ad asciugare sui fili di metallo legati al davanzale. Era grande, invece, la nostra casa, e l’accoglienza era un invito che si percepiva fin dall’ingresso, dove due poltroncine e un tavolo invitavano chi entrava a deporre ansie e preoccupazioni, a lasciarsi riscaldare dall’abbraccio di chi arrivava o partiva.

Quella lingua di pavimento era intrisa di parole, frantumate dai passi di bambini che correvano verso i loro sogni e di chi, invece, rientrava con le spalle curve per la stanchezza e gli affanni. Tanti ritornavano per moltiplicare gli incontri, la gioia di stare insieme, scoprire il segreto per non smarrire la serenità, quando le difficoltà, ci fanno alzare le mani in segno di resa. Il dolore non si raccontava perché avrebbe significato riviverlo, ci si riappropriava della propria vita, facendo progetti, ma a breve termine, per scaramanzia.

Quando venivano gli amici di mio padre, non bussavano, si annunciavano ognuno alla loro maniera. Uno mi faceva arrabbiare, perché staccava una rosa che si ergeva regale tra le piante che fiancheggiavano il vialetto, e poi la regalava a mia madre che era gia’ in attesa con la tazza di caffè da offrirgli.

Mia madre era razionale e pratica, ogni problema per lei aveva una soluzione e il compito di ognuno era trovarla e viverla. Era taciturna, o meglio, non avevo ancora imparato a decodificare i suoi silenzi. Con un gesto deciso, scostai delicatamente il braccio di mio marito che mi aveva abbracciato durante il sonno e mi alzai. A detta di tutti ero una bella donna, mora, alta, elegante anche nei minimi gesti.

La consapevolezza di essere stata una bimba fortunata mi ha resa appagata, grata alla vita di cui ho vissuto ogni singolo momento con stupore e meraviglia da piccola, con gratitudine ed ottimismo dopo, anche quando il freddo ed il cattivo tempo rendevano pesante l’aria fuori e dentro casa.

Avverto un intenso profumo di fiori. Guardo il comodino, ma non vedo ciò che penso, e dico a me stessa: “Roberta, oggi sono proprio in vena di ricordi.”

Dalla fessura della finestra accostata entra un sottile raggio di luce. Scosto la tenda per dare il mio buongiorno al mondo mentre mi sveglio e i colori del giardino mi rapiscono e mi conducono ad un ricordo tenero che mi predisponeva a vivere una bella giornata.

Rivedo, con gli occhi della memoria, i fiori del mio papà adagiati sul mio comodino e su quello di mamma: le sue donne come le chiamava lui. Era il suo buongiorno, il suo “vi amo profumato” che, io e mia madre, abbiamo sempre racchiuso nel cuore.

Dalla sua morte, questo gesto è divenuto un ricordo, la cui attenzione ci rendeva meno dolorosa la sua assenza. La sua vena di romanticismo ci lusingava. Le aiuole facevano da cornice al vialetto d’ingresso come macchie di colore dalla tonalità del glicine che s’intensificavano fino ad un viola intenso.

Le rose, incontrastate regine del giardino, si ergevano regali su steli ormai robusti, fortificati dall’aver affrontato tanti inverni. Non ho mai visto delle rose così grandi, ho sempre pensato all’amore con cui le accudiva mio padre, come fosse il loro più benefico concime.

Papà dedicava a quella fetta di giardino attorno alla casa tante ore del suo tempo, del resto per lui il tempo era ormai un concetto relativo. A volte si stancava anche, ma se il risultato era quello sperato, cioè quello di catturare la meraviglia mia e di mamma, era tempo ben speso.

Quei prolifici rami sono ancora lì, generosi, affiancati a dei gladioli rosa teneri e delicati. Questo tripudio di fiori rendeva l’area attorno alla casa una gigantesca fioriera profumata. Mio padre amava prendersene cura e non delegava mai nessuno ad occuparsene.

Per lui anche i fiori avevano un’anima e una sensibilità tale da manifestarsi con la generosità con cui ogni giorno, regalavano fiori nuovi. Mi coccolavano quelle sue premure e sono stati senz’altro i fiori da me graditi di più, perché hanno reso, tante mie mattine, il preludio di giornate belle da non dimenticare.

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