Nove uffici: uno centrale a Palermo e otto periferici, uno in ogni capoluogo di provincia. Un sistema dall’acronimo astruso: Urega. E’ l’ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici, un microcosmo burocratico messo in piedi dal legislatore siciliano quindici anni fa, al quale furono fatti ‘tagliandi’ con due decreti, l’ultimo del governo Crocetta nel 2012, per farlo funzionare. In realtà, l’ufficio s’è mosso come un pachiderma. E di gare ne ha espletate poche e con tempi “biblici”. Nonostante ciò è ritenuto un ufficio strategico perché in linea con la norma nazionale sulle stazioni uniche di committenza per rendere più trasparenti le gare. Per dargli linfa e farlo funzionare meglio, Giovanni Pistorio (in foto) assessore alle Infrastrutture, dipartimento che sovrintende agli Urega, ha inserito una serie di correttivi alla norma in un disegno di legge che però è impantanato nelle sabbie mobili di sala d’Ercole.
Le modifiche intervengono su tre aspetti fondamentali: viene aumentato il numero dei componenti delle commissioni Urega per accelerare l’esame delle pratiche; cambia il meccanismo della retribuzione, non più il gettone legato al numero delle sedute di commissione ma cifre prestabilite sulla base degli importi di gara con la Regione che si impegna a pagare a conclusione dell’iter di approvazione; riduzione dei tempi di espletamento degli appalti. Da settimane il testo è all’ordine del giorno dei lavori parlamentari, tuttavia non muove un passo. Dopo la discussione generale, la mini-riforma dell’Urega è bloccata. L’Ars deve solo esprimersi su alcuni emendamenti, basterebbe qualche ora per approvare l’intero testo. Ma le ultime sedute parlamentari sono andate deserte. Pochi deputati in aula e lavori rinviati per mancanza del numero legale. Qualcuno forse a Palazzo dei Normanni non vuole la norma?
Non piace la mini-riforma che secondo i costruttori dell’Ance sbloccherebbe gare per lavori pubblici pari a 110 milioni di euro? Il dubbio c’è, sottovoce un deputato di peso del Pd sussurra: “In effetti non riesco a capire, forse uno sgarbo a Pistorio?”. L’assessore allarga le braccia: “Il testo ha fatto il suo iter, in commissione all’Ars è andato tutto liscio, nessuno ha fatto rilievi e anche gli emendamenti non contengono stravolgimenti o modifiche particolari al disegno di legge”. Insomma, chi non vede di buon occhio il testo tace e lavora in maniera sotterranea per rallentarne il percorso d’aula? Oppure la riforma paga il conto del clima pre-elettorale che ormai pervaso Palazzo reale? Se ne tornerà a discutere martedì prossimo, come stabilito dal presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, che ha fatto appello ai deputati, soprattutto quelli della sua maggioranza, a presentarsi in aula. Dovrebbe essere l’ultima chance, se non sarà approvato la prossima settimana è probabile che il ddl venga “accantonato” per fare spazio alla manovra finanziaria, come deciso in conferenza dei capigruppo.
Per il legislatore che mise in piedi il sistema Urega “non v’è dubbio che la ratio della norma vada ricercata nella volontà di orientare l’azione amministrativa del settore degli appalti verso soluzioni che favoriscano l’adozione di procedure uniformi e l’esercizio dei controlli di legalità nella delicata fase di affidamento dei lavori pubblici”. Inoltre, “i principi, a cui si è ispirata la norma, trovano riscontro nelle intese dell’accordo quadro ‘Carlo Alberto Dalla Chiesa’ ed è indubbio che gli impegni sottoscritti nel protocollo di legalità del 12 luglio del 2005, investono direttamente le attività amministrative che la legge ha trasferito all’Urega”.