Se l’Italia è in coda alla classifica Ocse sulla media degli infermieri rispetto agli abitanti, va ancora peggio in alcune regioni come Sicilia e Lombardia, in grande affanno. I dati del Conto Annuale mostrano una media nazionale di 4,79, superata principalmente da Regioni del Centro-Nord come Liguria (6,3), Emilia-Romagna (6,25) e Friuli-Venezia Giulia (6,13). Al contrario, Regioni come Lombardia (3,53), Sicilia (3,54) e Campania (3,57) si trovano agli ultimi posti. Sono alcuni dei dati contenuti nel primo Rapporto sulle Professioni Infermieristiche, realizzato dalla Federazione degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) presentato a Roma in occasione della giornata internazionale dedicata alla professione.
Tra le cause della carenza anche gli stipendi, che vedono l’Italia molto indietro rispetto a Stati come Paesi Bassi e Regno Unito e con una netta differenza tra Nord e Sud, con Trentino Alto-Adige ed Emilia-Romagna ai vertici; Campania e Molise in fondo alla classifica. Dal rapporto realizzato in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, emerge che, rispetto agli stipendi, il Trentino-Alto Adige si posiziona al vertice con uno stipendio medio di 37.204, seguito da Emilia-Romagna (35.857) e Toscana (35.612). Mentre in Molise lo stipendio medio è di 26.186, seguito Campania (27.534) e Calabria (29.810).
Gli infermieri più soddisfatti sono tra coloro che lavorano nell’assistenza domiciliare e sul territorio, rispetto a quanti operano in ospedale. Ma tanti, anche se in calo, continuano a scegliere il settore pubblico: nel 2023, il 78,9% dei laureati preferisce il settore pubblico. Molto positivi i pareri dei pazienti che ne apprezzano il coinvolgimento nelle decisioni (78 su 100), chiarezza e utilità delle informazioni ricevute (91 su 100), rispetto e dignità (94 su 100), supporto emotivo (95 su 100).
La presidente di Fnopi: “Serve cabina di regia”
“Gli infermieri attualmente attivi in Italia sono circa 400.000, su 460.000 iscritti all’Ordine. Tra questi, ci sono 50.000 liberi professionisti, ma la maggior parte lavora nel sistema pubblico e in quello privato accreditato. Secondo la Ragioneria dello Stato, si stima una carenza di 65.000 unità in tutta Italia, di cui circa 30.000 previste dal Pnrr per l’assistenza territoriale“. A questo si aggiunge anche l’andamento della cosiddetta “gobba pensionistica”, ovvero gli infermieri che andranno in pensione: “Abbiamo stimato, dal 2023 al 2033, circa 110.000 uscite“. Lo spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), in occasione della presentazione del primo rapporto sulla condizione della professione.
“Per questo – ha aggiunto, aprendo il convegno in corso a Palazzo Rospigliosi in occasione della Giornata Mondiale dedicata alla professione – la questione infermieristica non è solo una questione di una singola professione, ma riguarda l’intera Italia, e va affrontata da una cabina di regia interministeriale, perché sempre più persone vivranno con patologie croniche già diagnosticate, per le quali la sfida non sarà solo clinica, ma soprattutto assistenziale. È un cambiamento epocale che chiama in causa il territorio come fulcro del sistema sanitario“. Il problema della carenza infermieristica, analizzato in tutto il Rapporto, non si risolve solo con incentivi economici. “Preoccupano i tantissimi infermieri che lavorano all’estero dopo essersi formati qui, così come preoccupano – conclude – coloro che abbandonano gli studi perché non trovano soddisfacente il sistema lavorativo. I giovani cercano lavori con competenze specialistiche“. Serve, quindi, “rendere attrattiva la professione, offrendo reali possibilità di carriera, percorsi di crescita e riconoscimento“.