Siciliani semu e quella della nostra lingua è la storia dei popoli che l’hanno abitata, preferiamo questo termine al dominata in quanto figli di questo coacervo di culture che in alcuni fanno prevalere i caratteri arabi, in altri quelli normanni, in altri ancora quelli spagnoli e così via.
Il siciliano, lo diciamo “priati”, cioè “contenti“, non deriva dall’italiano ma, al pari di questo, direttamente dal latino volgare, costituendo, già nella prima metà del XIII secolo, la prima lingua letteraria della nostra penisola nell’ambito della Scuola siciliana.
Anche l’UNESCO gli riconosce lo status di lingua madre e a noi quello di bilingue e, infatti, ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che all’articolo 1 afferma che per “lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato“, la nostra si smarca fortemente dall’essere considerato“vernacolo”. Alcuni studiosi asseriscono, inoltre, che il siciliano sia la più antica lingua romanza.
Infine, nel 2011 , l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge che promuove il patrimonio linguistico e la letteratura siciliana nelle scuole.
Amunì e Mòviti
Ci sono dei termini siciliani, anzi lo sono quasi tutti, tipo Amunì e Mòviti, oggi nostri protagonisti, che hanno una musicalità e una creatività che, derivandogli dai nostri progenitori, nella traduzione non rendono appieno. Per l’esortazione “Amunì” la nostra Bibbia è il “Dizionario sentimentale della parlata siciliana” di Gaetano Basile, ambasciatore della nostra cultura, storico, scrittore e giornalista. Quante volte avrete sentito ripetervi: “Amunì”? Estrapolando dal libro la parte che ci interessa, compaiono diverse ipotesi: secondo la dottoressa Teresita Da Roca y Capell, studiosa di Barcellona, deriva dalla zona di Lleyda-Agramunt, comunità autonoma della Catalogna, dove si usa, ancora, amùnt, che si pronuncia amunì, con lo stesso significato siculo. L’insigne grecista e antichista ragusano, il Professore Gaetano Cosentini, afferma, invece, che derivi dal verbo greco àmino, scritto amuno, diventato in siciliano prima àmune e, poi, visto il nostro amore nel dare enfasi all’ultima sillaba e alla vocale “i”rispetto alla “e”, in amunì.
Il suo significato ha, però, anche un’altra funzione, quella di galvanizzare, svegliare qualcuno dal suo torpore; immaginatelo, insomma, come una scossa linguistica. Il “Dizionario sentimentale della parlata siciliana” di Gaetano Basile, scherzoso e profondo come il suo autore, recita il suo amore per la nostra lingua con queste parole:
“Dizionario sentimentale della parlata siciliana non ha scadenza e resiste a temperature superiori ai 30°. Può causare assuefazione. Non è soggetto a prescrizione medica e può essere somministrato ai minori di anni 16. Perché non dimentichino la loro lingua. Con quell’esprit de finezze che ci ha sempre distinti”.
La nostra passeggiata prosegue con “Moviti” o “Muoviti” che, a seconda, dell’accento e della lentezza con cui si pronuncia può essere sinonimo di Amunì o cambiare radicalmente il suo significato. Se si ha fretta, con “Muoviti” detto fulmineamente inviterete il vostro interlocutore a darsi una mossa, ritornando allo sua funzione di di scuotimento; se, invece, con lentezza, facendo cadere l’accento sulla u di “Mùoviti” oppure sulla o di “Mòviti”, a seconda della provincia, e pronunciandolo doppio, “Mòviti, Mòviti ddocu“, cioè qua, diventa meraviglioso ossimoro per dire “Mòviti fermu”. Per farvi un esempio: se andate a far visita a delle zie, a dei nonni in là con gli anni, nei paesi, forse più delle città, se la conversazione è piacevole e l’atmosfera allegra, appena starete per andar via vi sentirete ripetere questa invocazione con cui vi si vuole convincere a “fermarvi natra anticchia”, un altro pochino, una dolce richiesta a cui non saprete, potrete e vorrete dire di no.
Chiudiamo con la summa: “Amunì, mòviti natra anticchia” e che il siciliano sia sempre con noi.