La Sicilia è una terra piena di contraddizioni e alle volte si ha l’impressione di essere dentro la trama di un film grottesco e surreale. Ricordate il celebre film di Luis Buñuel “L’angelo sterminatore”? Dopo una prima teatrale, una comitiva dell’alta borghesia viene invitata a cena in una villa di amici. Col passare delle ore però si accorgono che la servitù è inspiegabilmente sparita. Cercano quindi di uscire dalla stanza ma qualcosa li trattiene. La porta davanti a loro è aperta, non ha alcun impedimento, eppure non riescono ad abbandonare la villa. Sono prigionieri di loro stessi e improvvisamente si ritrovano, a disperare sul loro destino. Perché non riescono ad uscire? Il film altro non è che una metafora surreale della prigione interiore della borghesia spagnola, incapace di uscire dalla gabbia che essa stessa si è creata con le sue convinzioni e i suoi preconcetti.
Impossibile non notare delle similitudini con la Sicilia. Una regione bloccata ed intrappolata dalle sue idiosincrasie, dai suoi pregiudizi e stereotipi che lei stessa alimenta, mossa da un sentimento di voglia di cambiare misto a una totale atarassia e apatia verso il degrado e la corruzione che la circonda. Chi abita questa terra è ormai come bloccato all’interno di meccanismi che lei stessa ha costruito. Ne è spaventata, intimorita, ma al contempo non riesce a trovare una spiegazione a questo stallo in cui si è cacciata.
Impossibile non sorridere a denti stretti davanti al grottesco spettacolino a cui abbiamo assistito qualche settimana fa di fronte alla polemica dei souvenir sui traghetti dello stretto di Messina. Ci siamo indignati, ma abbiamo saputo reagire con forza, ponendo fine una volta per tutte a questo triste spettacolo che vede la nostra terra (s)venduta attraverso queste ignobili immagini che non ci rappresentano. Eppure basta fare un qualsiasi giro per le vie delle nostre città per notare come il problema è tutt’altro che risolto. Questi souvenir continuano ad essere venduti e sembra che nessuno, soprattutto le istituzioni, non se ne siano mai veramente interessate. Abbiamo posto fine ad un piccolo problema circoscritto, facendo la voce grossa di fronte alla nuova polemica del giorno senza mai andare veramente a fondo. Chiederci, perché questi oggetti ricoprono gran parte delle vetrine dei negozi di souvenir delle nostre città? E soprattutto perché proprio noi siciliani li vendiamo?
Stessa indignazione e stupore che ci travolge ogni anno, in quella che è chiamata grottescamente “stagione degli incendi”. Ci meravigliamo ancora nel constatare che dopo ogni autunno arrivi l’inverno, o dopo ogni primavera l’estate? Non credo. Allora come è possibile che un qualcosa per l’appunto chiamata “stagione”, proprio a sottolineare la periodicità sistematica della stessa, possa continuare a suscitare in noi stupore e rammarico nel vedere la nostra terra bruciare estate dopo estate.
Se questo eccellente copione che i siciliani vivono ogni giorno passasse tra le mani di un regista, non potrebbe che trasformarsi in una commedia dell’assurdo, in un film dalle tinte grottesche. Sicuramente Buñuel ne tirerebbe fuori un film eccezionale, fotografando come solo lui sapeva fare, un film violento, crudo e surreale, specchio della terra in cui viviamo. Saremo mai in grado di fuggire e spezzare quelle stesse catene che ci siamo costruiti? O preferiamo vivere alla giornata. Far finta di lottare giorno dopo giorno contro la polemica o “l‘emergenza” del momento per poi farci stupire quando ci si ripropone nuovamente davanti gli occhi.
Alla fine de “L’angelo sterminatore” tutti gli uomini e le donne intrappolati nella stanza riescono a uscire dalla villa. Una volta liberi esultano, festeggiano e finiscono per rifugiarsi in una chiesa. Quando stanno per uscire però, ancora una volta, rimangono bloccati. Buñuel non dà alcuna spiegazione a tutto ciò. Sembrava che i protagonisti fossero riusciti a fuggire da questa prigione mentale e politica ma molto probabilmente non era così. Quando esultiamo per aver posto fine alle piccole polemiche del giorno, forse siamo sì usciti anche noi da quella stanza ma per finire intrappolati in una seconda, forse al massimo un po’ più grande.