Di Victor Di Maria, Giuscommercialista – Revisore Legale
Nel complesso mosaico della sicurezza sul lavoro, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 25113 del 12 settembre 2025 segna un passaggio di rilievo nel definire i confini della responsabilità del committente nei rapporti d’appalto. Il principio riaffermato è chiaro: chi affida lavori o forniture all’interno dei propri locali non può ignorare gli obblighi di cooperazione, coordinamento e informazione imposti dall’art. 26 del D.Lgs. 81/2008. Tuttavia, la Suprema Corte precisa che tale responsabilità non è automatica, ma richiede la prova concreta di un nesso causale tra l’inadempimento e l’evento lesivo.
L’analisi della Suprema Corte appare tanto più rilevante se collocata nel più ampio dibattito scaturito dal recente tentativo referendario volto ad abrogare il principio di responsabilità solidale del committente. Il mancato raggiungimento del quorum ha lasciato intatto un equilibrio che, per quanto complesso, mira a conciliare due esigenze: da un lato, la tutela effettiva dei lavoratori coinvolti in filiere produttive articolate; dall’altro, la necessità di evitare che il committente divenga una sorta di “assicuratore di ultima istanza” per fatti che sfuggono al suo controllo operativo.
La sentenza offre dunque una lezione di metodo e di sostanza. Di metodo, perché ricorda come l’accertamento della responsabilità debba fondarsi su un’analisi puntuale della causalità giuridica, non su presunzioni di colpa. Di sostanza, perché riafferma che la sicurezza è un dovere condiviso, ma non indistinto: ciascun soggetto risponde per la parte che gli compete, secondo logiche di effettività e controllo.
In definitiva, la Cassazione riconduce il tema della sicurezza negli appalti all’interno di una cornice di equilibrio giuridico e razionalità operativa. L’impresa committente non è un capro espiatorio, ma un garante di sistema: la sua responsabilità, come la sua libertà, si misura nella capacità di adempiere agli obblighi di cooperazione e vigilanza, senza trasformarsi in una colpa d’onore per il solo fatto di aver appaltato un lavoro.