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A distanza di 30 anni dalla riforma

Sindaci, l’elezione diretta ed il “partito” trasversale

martedì 11 Luglio 2023

È una verità ormai scritta nel registro dell’evidenza. I primi cittadini delle grandi città d’Italia o, comunque, quelli dei centri che ‘contano’ più di altri, godono di una visibilità e di un peso politico che li rende, a tutti gli effetti, attori nazionali che travalicano i confini fisici dei propri Comuni d’appartenenza.

E, dopotutto, la recente Storia d’Italia mostra come i Comuni più importanti siano, di fatto, o trampolino per politici di futura caratura nazionale o, al contrario, rifugio per quelli che hanno già esaurito il loro tempo in Parlamento. Pensiamo ai nomi “romani” di Francesco Rutelli, Gianni Alemanno, Walter Veltroni, Virginia Raggi, o a quelli milanesi di Beppe Sala, Letizia Moratti, Giuliano Pisapia, i fiorentini come Matteo Renzi, Dario Nardella, i campani Bassolino, De Luca e De Magistris.

Questa forte personalizzazione delle cariche cittadine è dovuta, certamente, agli effetti della riforma che ha portato all’elezione diretta dei Sindaci. Stiamo parlando della legge 81 del 1993 che, proprio quest’anno, compie i suoi trent’anni dall’entrata in vigore e che, per questo, è stata celebrata da un recente convegno organizzato in Senato dall’Anci. Da quel momento, infatti, intorno alle personalità dei sindaci, prima meri funzionari posizionati dal partito vincitore alle elezioni, viene costruito il consenso.

Un vero passaggio epocale che porterà alla situazione attuale in cui il sindaco oltre a rappresenta in toto la sua città – i suoi vizi, così come le sue virtù – si impone nello scenario politico nazionale al pari di un Presidente della Regione o, in alcuni casi, con una caratura ben più importante di molti deputati nazionali.

La televisione e le elezioni di Roma 1993

Un processo che è stato accompagnato e, per certi versi, potenziato dal ruolo sempre più centrale dell’esposizione mediatica (prettamente televisiva) dei leader. Sono infatti i salotti televisivi di Maurizio Costanzo, di Michele Santoro e di Bruno Vespa a dare ampio spazio ai “nuovi” sindaci eletti dal popolo: in poco tempo, i primi cittadini delle città italiane, grazie alla Tv, vengono conosciuti al di fuori delle proprie comunità, divenendo volti noti, familiari in tutto il territorio nazionale.

(Crediti: AP 1993)

Nell’autunno del 1993, tra l’altro, il primo Comune di rilievo ad andare al voto con la nuova legge è proprio quello di Roma, la Capitale d’Italia. La televisione, in questo caso, giocherà un ruolo essenziale perché darà massima copertura a quella che in molti ricordano come una delle campagne elettorali più d’impatto della nascente “seconda Repubblica”, quella tra il radicale Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, all’epoca segretario del Movimento Sociale Italiano.

Un duello particolarissimo, per due motivi: l’appoggio politico dell’allora semplice imprenditore Silvio Berlusconi a Fini (“Se fossi romano voterei per Fini”, disse il Cavaliere in una memorabile intervista), universalmente riconosciuto come premessa per l’alleanza che negli anni successivi porterà Berlusconi al governo, al fianco della destra post-fascista. E, in secondo luogo, proprio per il nuovo sistema elettorale ed il grande clamore mediatico che venne riservato al caso.

I sindaci siciliani

Anche la Sicilia ha dato spazio e lustro a quelli che poi sono stati protagonisti, a tutti gli effetti, della vita politica della Repubblica. Enzo Bianco, sindaco di Catania e ministro dell’Interno del governo Amato, Leoluca Orlando, storico primo cittadino di Palermo, deputato regionale, nazionale e a Bruxelles.

Il primo, dal partito Repubblicano, si impose nella Catania cupa degli anni Novanta, ed aprì ad una stagione inedita in cui il centro divenne teatro per eventi e concerti. Si fece inoltre promotore di una serie di iniziative economiche che poi, nella letteratura siciliana, sono ormai note come “la primavera di Catania”, un periodo florido in cui il capoluogo etneo divenne, effettivamente, centro per interessi sociali, culturali e commerciali.

Alla sua figura carismatica, dall’altra parte della Sicilia, faceva compagnia un giovane Leoluca Orlando che, in nome della contrapposizione alla mafia, aprì ad innovazioni politiche prima inedite. Suo l’esperimento “eretico” de La Rete, la prima vera organizzazione post-ideologica italiana, che riuscì a racchiudere culture politiche differenti con un programma che contemplava legalità, pace, ambiente.

Due esperienze destinate a durare, con le dovute interruzioni, per diversi mandati.

Passando ai tempi più recenti, le personalità dei sindaci hanno caratterizzato la vita politica delle città da loro guidate. Pensiamo alla “meteora” Renato Accorinti, ex sindaco di Messina, che debuttò entrando scalzo in Municipio. O, in modo molto più determinante, al caso di  Cateno De Luca che proprio sul suo ruolo di sindaco, prima della sua Fiumedinisi poi di Messina ed oggi di Taormina, ha costruito il consenso politico che l’ha portato, durante la scorsa tornata elettorale regionale, alla costruzione di un nuovo soggetto: Sud chiama Nord.

Un riferimento esplicito all’esperienza da primo cittadino è il nome dato alla lista che lo candida presidente della Regione nell’estate 2022 “Sud chiama Nord – Cateno De Luca sindaco di Sicilia“.

Ed è proprio grazie al suo nuovo ruolo di sindaco di Taormina che De Luca, dopo un inizio legislatura piuttosto sereno, ha iniziato a tirate le prime, vere, bordate al governo regionale di Renato Schifani. Anche l’elezione di Roberto Lagalla, a Palermo, e quella di Enrico Trantino a Catania, ci raccontano un contesto in cui dai sindaci passano equilibri ben più grandi ed importanti della pura gestione della potestà amministrativa di un Comune.

In entrambi i casi, infatti, il momento elettorale è stato caratterizzato da una forte litigiosità interna al centro-destra, poi risolta dall’intervento dei leader nazionali, in cui l’indicazione del “nome” adatto non è passata soltanto da una logica di equilibri politici ma, anche, da una valutazione sulle personalità dei possibili candidati.

La pandemia ed il partito degli amministratori

In questo processo si è sicuramente inserita l’esperienza della pandemia da coronavirus che, accanto al ruolo delle Regioni e dei loro governatori, ha dato una forte capacità di manovra ai sindaci nella loro funzione di responsabili diretti della salute pubblica delle proprie città, così come previsto dalla legge. In molti casi, infatti, durante le diverse fasi dell’esperienza del Covid, i sindaci hanno avuto forte spazio mediatico per le proprie posizioni di consenso o dissenso rispetto alle scelte di contrasto intraprese dal governo nazionale.

Proprio negli ultimi 3 anni, infatti, sembrerebbe aver preso forma un nuovo soggetto politico “trasversale”, una sorta di partito degli amministratori locali che – partendo dall’esperienza comune della gestione dei territori in emergenza sanitaria – si contrapporrebbe ai partiti politici e ai movimenti “tradizionali”. Non un soggetto organizzata, sia ben chiaro, ma una forma di dialogo costante tra chi condivide esperienze comuni.

Una realtà che potrebbe fare intravedere nuove ed inedite geografie politiche, soprattutto in vista delle prossime sfide elettorali. Ma che, contemporaneamente, potrebbe essere soltanto una suggestione destinata a sgretolarsi davanti alle organizzazioni – molto più granitiche, quelle sì – dei partiti politici.

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