Come valuta l’impatto del nuovo tariffario e in che misura ritiene possa ricadere negativamente sui pazienti in termini di tempi di attesa e qualità delle cure?
“La revisione del tariffario avrebbe dovuto rappresentare un deciso passo avanti per allineare i compensi ai costi effettivi delle prestazioni. Invece, si profila il rischio di un’ulteriore penalizzazione per le strutture e per gli stessi specialisti, oltre a possibili ripercussioni sui pazienti. L’aggiornamento non tiene conto delle reali spese sostenute dai professionisti, aggravate dall’incremento dei prezzi di materiali e tecnologie.
Ciò può condizionare l’operatività quotidiana e, in prospettiva, ridurre drasticamente l’offerta delle prestazioni in convenzione: se le tariffe non coprono i costi di gestione, le liste d’attesa si allungano e cala la qualità dei servizi. Un esempio chiaro riguarda la cardiologia, dove una visita con elettrocardiogramma viene rimborsata con solo 6 euro netti, dimenticando la natura intellettuale e complessa del lavoro medico. Analogamente, la riabilitazione cardiologica viene liquidata a 3,85 euro l’ora, contro i 19,11 euro (già bassi) del tariffario Bindi del 1996. In questo quadro, diventa difficile assicurare un’assistenza adeguata, con il serio pericolo di un collasso del sistema sanitario convenzionato”.
Quali criticità emergono dal punto di vista organizzativo per le strutture accreditate. Esistono rischi di accentuare le disuguaglianze territoriali?
“In Italia le strutture convenzionate sono l’ultimo baluardo di sanità pubblica perché erogano tra il 60% ed il 75% di tutte le prestazioni specialistiche territoriali. Oggi vivono una doppia criticità. Da un lato, devono adeguare in tempi molto stretti i propri sistemi informatici alle nuove tariffe; dall’altro, temono che i rimborsi non siano sufficienti a coprire i reali costi delle prestazioni, rischiando così di ridurre l’offerta di servizi. La situazione è particolarmente difficile per le strutture più piccole, che potrebbero dover limitare la gamma di prestazioni, con conseguenze dirette sull’accesso dei cittadini alla cura.
È uno scenario che coinvolge tutte le regioni, anche se alcune partono da situazioni molto diverse. Alcune dispongono di fondi propri e infrastrutture sufficienti per recepire e applicare il nuovo tariffario senza troppi scossoni, altre come la Sicilia, con un piano di rientro da rispettare, ne risentirebbero pesantemente. In assenza di correttivi mirati, c’è il timore che i pazienti delle aree più svantaggiate si trovino ancora una volta a dover attendere di più o a ricevere un’assistenza meno aggiornata. Ecco perché chiediamo, come sindacato, un coordinamento più solido a livello nazionale e di rendere il nuovo sistema più flessibile, per evitare disparità sul territorio“.
“Come Sindacato Branche a Visita abbiamo chiesto insieme a più di cento altre rappresentanze di categoria un tavolo tecnico permanente con il Ministero per valutare in modo puntuale i costi di gestione delle strutture e l’impatto delle tecnologie più avanzate. È necessario definire un meccanismo di aggiornamento tariffario periodico, tempestivo e flessibile, in grado di recepire le variazioni di mercato e consentire eventuali correzioni.
Al contempo, occorre trovare un equilibrio tra la sostenibilità economica del Servizio sanitario e la qualità delle prestazioni, istituendo un monitoraggio serrato dell’efficacia del decreto. Infine, è imprescindibile il coinvolgimento permanente di specialisti, associazioni e rappresentanze delle strutture, così da evitare che riforme cruciali – come l’adeguamento del nomenclatore – restino ancorate a parametri superati, e favorire un dialogo strutturato tra tutte le figure interessate e il Ministero della Salute“.