L’ipotesi del cosiddetto “doppio cantiere” per la realizzazione della Strage di Capaci prende corpo nelle aule del Tribunale di Caltanissetta, al processo “Capaci bis”.
Il pentito Pietro Riggio torna ad accusare un ex poliziotto. Il suo nome, dapprima secretato, è ormai pubblico: si tratterebbe di Giovanni Peluso, indagato ora per la strage del 23 maggio 1992.
“Peluso mi disse: ‘Ma tu sei sicuro, credi ancora che il tasto del telecomando l’abbia premuto Brusca?‘ Io rimasi spiazzato. ‘Mah – dissi -non lo so perché mi dice questo’. Però ho intuito subito, nell’immediatezza dei fatti, che sicuramente conosceva, sapeva qualche cosa, o diretta o de relato o non so come, che gli facesse affermare questa cosa che Brusca effettivamente non avesse premuto lui”. Sono le parole del pentito di mafia Pietro Riggio, nel corso del confronto con l’ex poliziotto Giovanni Peluso, avvenuto il 7 marzo scorso.
Il verbale è stato depositato oggi nel corso dell’udienza del processo ‘Capaci bis‘ a Caltanissetta. “O era convinto che avesse premuto, diciamo, questo famoso timer per fare saltare in aria Falcone”, dice ancora il pentito Riggio, che poi ha aggiunto: “Nel periodo di detenzione a Santa Maria Capua Vetere ho conosciuto diversi ex appartenenti alle forze dell’ordine. Tra questi anche Peluso, ispettore della questura di Roma e un tale Giuseppe Porto. So che entrambi hanno avuto rapporti con i Servizi segreti“.
L’ex poliziotto Peluso si è difeso nel corso di un confronto con Riggio negando categoricamente il suo coinvolgimento nella strage: “È dimostrabile. Non ho potuto materialmente esserci, perché stavo al corso per sottufficiali, come facevo ad andare a Capaci?”. La deposizione di Riggio continuerà nella prossima udienza fissata per il 29 novembre.
Ma oggi ha parlato in Aula anche il pentito Maurizio Avola, che ha fornito nuovi dettagli sul reperimento dell’esplosivo, su cui non si è mai fatta piena luce.
“Nel ’92 – ha detto oggi in Aula a Caltanissetta – ho conosciuto un esperto di esplosivi a casa di Aldo Ercolano (capomafia catanese, ndr). Era poco più alto di 1,80, robusto, capelli scuri. Vestiva elegante. Mi dicevano che era venuto per dirci come si preparava un esplosivo. Aveva la parlata tipica dell’italo americano. Mi fu presentato come appartenente alla famiglia mafiosa americana di John Gotti. Ci disse come funzionava questo esplosivo potentissimo, come piazzarlo, come ottenere le frequenze giuste e l’utilizzo del detonatore. Mi fu presentato perché doveva partecipare alla strage di Capaci”.
“L’esplosivo era morbido, della consistenza del pongo. Era all’interno di bidoni utilizzati per le olive. Ercolano mi disse di preparare due di questi bidoni pieni. Si parlava del fatto che si doveva fare la guerra allo Stato a partire dai magistrati. Lo abbiamo trasportato con una Fiat Uno bianca. Siamo arrivati a Termini Imerese e l’abbiamo lasciato in un rifornimento. I telecomandi li abbiamo consegnati dopo, quindici giorni prima della strage di Capaci”, ha aggiunto il pentito catanese Maurizio Avola.
Cinque gli imputati nel processo: Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Vittorio Tutino. Nel processo di primo grado, la Corte d’Assise, condannò all’ergastolo Madonna, Tinnirello, Lo Nigro e Pizzo. Tutino invece venne assolto per non avere commesso il fatto.
La Corte d’Assise d’Appello ha accolto la richiesta avanzata da alcuni legali, in particolare dagli avvocati Flavio Sinatra e Vincenzo Vitello, di sentire i pentiti Pietro Riggio e Maurizio Avola. Quest’ultimo aveva sostenuto di aver trasportato detonatori e tritolo provenienti da Messina e Reggio Calabria.
“Non so quale fosse la marca di esplosivo che era contenuto nelle casse che portammo a Termini Imerese. Sicuramente c’era il T4, quello con la consistenza del pongo. Gli altri panetti erano un po’ più piccolini di forma tondeggiante e di colore marrone scuro. Non so dire se l’esplosivo che ho maneggiato sia il Semtex“, ha concluso Avola.
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