“Uccidere per un pozzo ed una coltivazione di carciofi. Far finire la vita al proprio fratello e alla cognata, spezzare i sogni di una ragazza e di un bambino. Impossibile trovare qualcosa di razionale pur cercandola, peraltro in una famiglia di persone incensurate, autorizzate anche all’uso di armi”. Francesco Pira, professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina, in una intervista all’Adnkronos, si dice “sconvolto da questo terribile fatto di sangue accaduto nella sua città d’origine”, Licata.
“Penso al dolore che hanno provato le compagne e i compagni di scuola di questi due ragazzi nel vedere stamani due sedie vuote– dice – Quello che è più inquietante è che tutto è avvenuto in una tranquilla giornata di pandemia e ha sconvolto tutta la comunità, ancora incredula.Più passavano le ore e più si definivano i contorni della strage; più sembravano incomprensibili le cause di un gesto così assurdo ed eccessivo. Certo non è la prima volta che per questioni di proprietà si uccide. Ma perché coinvolgere in un regolamento di conti anche i più piccoli. Perché far pagare loro un tributo di sangue. E allo stesso tempo perché non discutere e uccidere a bruciapelo il fratello e la moglie. Per alcune ore ci siamo sentiti tutti dentro un film horror. Il livello di cattiveria e di violenza quotidiana ha superato ogni limite. Per questo bisogna lavorare a percorsi seri, con i più giovani di educazione ai sentimenti. Dobbiamo recuperare- conclude il professor Pira- il senso del vivere civile e del rispetto degli altri e delle regole. Bisogna recuperare il senso della comunità e il valore della famiglia“.