Anche se il Reddito di cittadinanza è intestato a un unico titolare, non si può considerare una cosa “propria” della persona che lo riceve in quanto “è un sussidio che soccorre l’intero nucleo familiare, come si evince dal fatto che viene elargito sulla base di certificazioni” sulla “posizione reddituale” di tutta la famiglia”. E “integra il reato di estorsione” la violenza del titolare per farsi dare la ‘card’ e “prendere somme destinate al sostentamento non solo suo ma dell’intera famiglia“. Lo sottolinea la Cassazione in riferimento alla condanna di uomo che maltrattò la moglie per farsi dare la card per comprare la droga.
In particolare, i supremi giudici, con il verdetto 17012 depositato oggi dalla Seconda sezione penale – presidente Piero Messini D’Agostini, relatrice Sandra Recchione – hanno respinto il ricorso di Salvatore R., marito cinquantenne napoletano e con il vizio della cocaina, contro la decisione della Corte di Appello del capoluogo campano che nell’ottobre del 2020 aveva confermato la sua colpevolezza in relazione all’accusa di estorsione. Aveva minacciato di morte la moglie impugnando un martello e lanciandole contro una lampada “intimandole di consegnargli il Reddito di cittadinanza (a lui intestato ed unica fonte di sostentamento del nucleo familiare) per acquistare sostanza stupefacente”. Senza successo, la difesa di Salvatore R. ha sostenuto davanti agli ‘ermellini’ che l’uomo aveva agito “esclusivamente per entrare in possesso del denaro proveniente dal Reddito di cittadinanza a lui intestato, pertanto il fatto avrebbe dovuto essere definito con esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, reato molto più ‘lieve’. Inoltre il legale dell’imputato ha cercato di minimizzare i fatti dicendo che “l’aggressione sarebbe stata rivolta unicamente contro le cose e si sarebbe risolta in una sorta di ‘sfogo’ dovuto alla situazione di astinenza nella quale versava” l’uomo.
Per la Cassazione, invece, correttamente i magistrati napoletani hanno ritenuto “integrata l’estorsione” rilevando che “destinataria dell’assegno era la famiglia anagrafica dell’intestatario comprensiva dei coniugi separati o divorziati residenti nella stessa abitazione e dei figli sotto i 26 anni non conviventi e a carico dei genitori“. Con il loro verdetto i supremi giudici hanno dunque respinto il reclamo di Salvatore R., l’entità della condanna inflitta non è nota.