Sei cittadini nigeriani sono stati fermati dagli agenti della polizia di Stato di Ragusa, in collaborazione con i colleghi della Squadra mobile di Padova. Tre di loro devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti, di tratta di persone ai danni di connazionali, anche di minore età, e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; un quarto è gravemente indiziato del delitto di tratta di esseri umani ai danni di una connazionale minorenne; gli altri due di delitti in materia di droga, connessi al traffico di esseri umani. Complessivamente sono state effettuate 500 ore di appostamenti per l’individuazione e la cattura, più 15 mila intercettazioni.
Il provvedimento è stato eseguito il 17 gennaio scorso, ma la notizia si è appresa soltanto dopo la convalida del Gip di Padova che ha emesso cinque ordinanze di custodia in carcere e disposto per la donna, per problemi familiari, gli arresti domiciliari. A condurre l’indagine ‘Broken chains’ (Catene spezzate) è stata la Dda di Catania in coordinamento con la Squadra mobile di Ragusa all’inizio del mese di giugno 2016, in seguito alle dichiarazioni rese da una cittadina nigeriana minorenne, Joy (nome di fantasia), giunta presso il porto di Pozzallo alla fine del mese di maggio del 2016. Joy, giunta in Sicilia al termine di un estenuante e pericoloso viaggio iniziato in Nigeria che l’aveva portata ad attraversare l’Africa settentrionale, affidata di volta in volta a connection men e a uomini armati, esposta al rischio di violenze sempre crescenti, aveva deciso di raggiungere l’Italia allettata dalla falsa promessa di un lavoro lecito i cui guadagni avrebbero aiutato la famiglia di origine. Giunta sul territorio nazionale veniva collocata in una struttura protetta in cui veniva, tuttavia, rintracciata da un connazionale che le aveva organizzato il viaggio e l’attendeva in Italia e che si è adoperato per prelevarla dalla struttura e acquisirne il controllo. La minore, cui era stata taciuta la propria destinazione alla prostituzione, avendo compreso che l’unico destino che l’aspettava era la strada, ha deciso di raccontare la propria storia.
Sulla scorta delle dichiarazioni della giovane sono state avviate le indagini che hanno fatto luce su una articolata organizzazione criminale composta da nigeriani operanti in Italia e altri in Nigeria, e stranieri di diversa nazionalità operanti in Libia nel business delle partenze dalle coste e delle connection house, un gruppo dedito a realizzare diversi investimenti in materia di traffico di esseri umani e di immigrazione clandestina. Le indagini hanno consentito agli investigatori di comprendere che l’associazione criminale gestiva in forma professionale viaggi di connazionali, uomini e giovani donne (queste ultime destinate al mercato della prostituzione) anche minori: nell’arco dell’attività investigativa, in circa cinque mesi, i componenti dell’organizzazione sarebbero riusciti ad occuparsi del trasferimento di numerosi connazionali. Sei indagati, giunti in Italia, avrebbero agito senza soluzione di continuità, nonostante l’intervenuta esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità del Belgio nei confronti di due di loro per il delitto di traffico di esseri umani.
“Il ghanese chiede altri soldi, altrimenti le ragazze saranno cedute ad altre persone…”. È la preoccupazione espressa dalla presunta organizzazione di nigeriani accusata di tratta di essere umani sgominata dalla polizia di
Stato sul rischio che corrono nel perdere alcune delle loro vittime: giovanissime e minorenni nigeriane attratte in Italia dalla possibilità di lavorare, ma obbligate alla prostituzione su strada. I ricatti si basavano su riti Woodoo, e su minacce ai familiari rimasti in Nigeria o in attesa di partire. È quanto emerge da intercettazioni della squadra mobile della Questura di Ragusa agli atti dell’inchiesta “Broken chains” (Catene spezzate) della Dda della Procura di Catania che ha portato al fermo di sei nigeriani, compresa una donna, a Padova. “Dobbiamo farle il rito Woodoo – dice un uomo ascoltato dalla polizia – la madre della ragazza non vuole pagare. Lei è scappata e se non la recuperiamo i soldi sono perduti“. Il gruppo è interessato al “futuro” di 6 giovanissime nigeriane. Uno di loro segue il loro “cammino”: “sono tutte nelle mani del ghanese: ieri ne ha ‘liberate’ quattro, oggi ne ‘libera’ altre due…”. Ma devono mandargli i soldi, “altrimenti le ragazze saranno consegnate ad altri…”.
Dalle 15 mila intercettazioni emergono trattative sui prezzi da pagare delle persone, trattate come se fossero oggetti. E la concorrenza presente in Libia, dove diverse organizzazioni offrono i loro ‘servizi’ a prezzi diversi. I guadagni, compresi quelli provenienti dal traffico di droga, venivano reinvestiti nell’arrivo di altre ‘vittime’ che erano ‘stoccate’, come se fossero merce, in Libia, dove si trattava il ‘prezzo’ per la loro partenza, e dove giovanissime e minorenni erano anche vittime di violenze sessuali.
L’indagine ha consentito, inoltre, alla polizia di quantificare gli affari connessi ai fenomeni migratori. Gli investigatori sono riusciti a documentare estenuanti trattative tra operatori finalizzate a non far innalzare i costi dei trasferimenti e a non dilatare la permanenza in Libia, in un mercato altamente concorrenziale ovverosia quello della gestione dei migranti in terra libica poiché caratterizzato dall’esistenza di numerosi soggetti capaci di offrire la stessa prestazione a prezzi diversi: sullo sfondo di tale mercato restavano i migranti in attesa di imbarco trattati alla stregua di merce, senza alcuna considerazione o rispetto per la vita umana. Sono diverse le conversazioni registrate tra trafficanti libici ed i complici in Italia, nel corso delle quali i primi minacciavano di vendere le giovanissime ragazze in attesa di imbarco se non fossero state soddisfatte le richieste di denaro avanzate.
Le conversazioni registrate hanno consentito di comprendere come il territorio di Tripoli rappresenti, in questo momento, una zona di “stoccaggio” di migranti a cielo aperto, dove gli stranieri vengono ammassati in attesa che la trattativa sul prezzo si perfezioni e giunga il pagamento richiesto, subendo nell’attesa ogni genere di vessazione, dal mancato sostentamento alle percosse sino alle violenze sessuali. La base dell’organizzazione aveva sede operativa a Padova, dove alcuni degli indagati si dedicavano anche al traffico di droga, destinando i ricavati a nuovi investimenti in traffico di esseri umani. Il gip di Padova ha convalidato il provvedimento di fermo, applicando la misura della custodia cautelare in carcere a tutti gli indagati, con l’unica eccezione di un’indagata, che ha un figlio di poco superiore ai tre anni.