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Tutti i popoli del mondo uniti nella preghiera

domenica 10 Maggio 2020

L’invito di Papa Francesco e l’accoglienza che la sua esortazione ha avuto nel cuore degli uomini di buona volontà – e ce ne sono molti uomini e donne che continuano a sperare in Dio e nel futuro dell’umanità – ha ancora una volta lasciato senza parole le gerarchie e le istituzioni del mondo che, sul tema della fratellanza e della giustizia sociale, non hanno affatto chiarito quali siano gli equilibri da raggiungere per porre le basi di una società pacifica.

In funzione di una economia che non leda i diritti delle persone ed elimini il più possibile l’indigenza nella quale versa molta parte dell’umanità, forse l’invito alla preghiera può apparire una fuga, così come sembra un ricorso agli aspetti miracolistici della fede invitare tutti i popoli del mondo alla preghiera, ma, come cristiani, sappiamo che proprio nel Padre Nostro insegnatoci da Gesù Cristo, tutti gli uomini del mondo sono fratelli che si rivolgono al Padre per essere esauditi nei loro bisogni. E oggi è comune a tutti gli abitanti della terra il desiderio di essere ascoltati e di pregare perché si possa vincere la pandemia che sta mietendo tante vittime in tutte le nazioni del mondo. In questo senso Papa Francesco, rappresentante di Cristo, può consentirsi, con fraterna semplicità, di  invitare tutti gli abitanti del pianeta, fratelli perché figli dello stesso Dio, a pregare uniti nella stessa voce e negli stessi bisogni.

Forse anche i teologi avrebbero qualcosa da ridire su tale difficile argomento di fede, ma io credo che il messaggio di Cristo che sconvolse il mondo di allora può ancora scandalizzare molti e anzi essere considerato un vago desiderio umanitario sul piano delle relazioni tra le società del nostro tempo, perché immaginare che tutte le creature e tutti i popoli possano essere uniti in Dio, sembra ancora oggi una utopia impossibile a realizzarsi. E Gesù pregava chiedendo: “UT UNUM SINT” – che siano una cosa sola – come meta finale della affermazione dell’umanità. Papa Francesco ci invita a sfidare insieme a Cristo la comune opinione chiusa nei pregiudizi clericali  dei cattolici pusillanimi e nei conflitti della disuguaglianza e a iniziare quel nuovo processo di umanizzazione che la civiltà contemporanea stenta ad intraprendere.

Mi è venuto in mente quell’episodio della storia siciliana ricordato dai cronisti dell’epoca, quando, durante il terremoto verificatosi al tempo di Guglielmo II, nella disperazione generale, il giovane re, rivolgendosi ai dignitari della sua corte multietnica che rappresentava tante fedi religiose, disse: “ognuno preghi il suo Dio, qualcuno ci ascolterà”. Forse soltanto nel luminoso basso-medioevo siciliano ed in età normanna si poteva tollerare e apparire addirittura normale anche al sovrano che rappresentava il Papa romano, accomunare nella preghiera tradizioni religiose diverse che altrove si combattevano provocandosi in continui conflitti mai risolti.

Dal tempo del re Guglielmo sono passati più di otto secoli e solo sotto il pontificato di Giovanni Paolo II nel 1986 è stata indetta la prima preghiera collettiva che fu affidata ai rappresentanti delle religioni più diffuse e che dava principio al Dialogo Interreligioso iniziatosi tra i capi religiosi che allora si incontrarono. Oggi Papa Francesco, con maggior consapevolezza teologica e oculata spregiudicatezza, ha invece ribadito e chiesto alla società tecnologica del neo-antropocene, una preghiera universale che si rivolga all’unico Dio con l’unica lingua umana della fratellanza e ha invitato tutti i popoli della terra, superando il limite delle diverse confessioni.

La storia va avanti anche se a passi lenti; ma questi sono i passi della speranza che, per chi ha fede, può generare anche i miracoli e, nel nostro caso di pandemia, aiutare la scienza a trovare il rimedio. Cercando negli stessi elementi che offre la Natura la medicina che possa guarire il male sconosciuto che affligge l’umanità in cerca di salvezza.

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