Può capitare a tutti. Scattarsi una foto e inviarla al proprio compagno, un momento di leggerezza e complicità. Ma non può più capitare che quella foto venga poi condivisa, pubblicata, inviata senza il nostro consenso, come arma di vendetta per una relazione finita male o semplicemente per una “goliardia” che nasconde nient’altro che ignoranza e misoginia. E di colpo si è esposti e vulnerabili, oggetto degli insulti degradanti di chi guarda. Oggi tutto questo finalmente è reato.
Revenge porn racchiude tante situazioni diverse, in generale si riferisce alla condivisione di foto intime senza il consenso della persona rappresentata. È la vendetta di chi, alla fine di una relazione, condivide su chat, social network o in generale sul web, senza il consenso dell’ex partner, foto o video intimi con un contenuto sessuale che lo rappresentano, realizzati nel corso della relazione di fiducia. Ma revenge porn è anche la condivisione sulle stesse piattaforme di immagini intime realizzate all’insaputa della persona rappresentata.
Quando un’immagine viene condivisa sul web si perde immediatamente ogni controllo su questo materiale, che può diventare virale in un attimo ed è allora che la persona ritratta non ha più armi per difendersi. Ci sono casi noti di persone arrivate a compiere gesti estremi, come Tiziana Cantone, la ragazza che si suicidò dopo che immagini intime che la ritraevano divennero virali. Immagini che tutt’ora girano sul web.
In generale la vittima è la donna, mentre i casi che riguardano uomini sono del tutto marginali rispetto al fenomeno globale. Per avere un’idea di quanto tutto ciò sia frequente, basti sapere che nel mondo il 10% delle relazioni sentimentali terminano con atti di revenge porn e di questo 10% il 90% è subito da donne.
Questo dato non stupisce affatto, perché dietro al revenge porn c’è il tabù che ancora circonda la sessualità femminile e a permettere che questo odioso fenomeno assuma tali dimensioni c’è, o meglio c’era, la coscienza di una totale irresponsabilità dovuta al vuoto legislativo.
Da anni associazioni come Insieme in rete lottano per sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni sulla necessità di una tutela più efficace per le vittime. Nelle ultime settimane il revenge porn è stato al centro del dibattito politico. Dopo essere stato inizialmente bocciato da Lega e M5S non senza critiche, l’emendamento alla legge “Codice rosso” che prevede l’introduzione nel codice penale di questo reato è stato nuovamente votato e, a seguito dell’accordo raggiunto tra maggioranza e opposizione, approvato dalla Camera dei deputati all’unanimità. Il testo del nuovo art. 612 ter c.p. “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” recita: “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”. La pena si aggrava se a compiere i fatti siano il coniuge o una persona legata da una relazione sentimentale.
L’introduzione del reato di revenge porn è una conquista per l’Italia che oggi, come altri paesi europei, supera un’altra frontiera della lotta contro la violenza di genere.