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Una storia dimenticata: quando la seta siciliana approdava nei porti di mezza Europa

sabato 11 Maggio 2019

La Sicilia ha regalato al mondo un’incredibile varietà di prodotti, suscitando ammirazione e stupore nel corso dei secoli. Un’Isola, diventata, anche per questa sua ricchezza produttiva, una terra leggendaria.

Tra i prodotti che hanno reso grande la Sicilia, ce n’è uno in particolare a cui troppo spesso non viene data la giusta importanza: la seta. Ebbene, soprattutto durante l’età Moderna, quest’ultimo prodotto fu un bene attraverso cui maestranze e mercanti isolani poterono accrescere il proprio potere e le proprie ricchezze. E in particolar modo, una città più su tutte, beneficiò dei frutti del commercio serico, cioè Messina. Infatti, nel 1591, la città dello Stretto, pagando una somma di 583.333 scudi, ottenne dal governo spagnolo il privilegio di accogliere per certi periodi di tempo il viceré insieme alla sua corte. Ma soprattutto le fu concesso il monopolio commerciale di tutta la seta prodotta, sia grezza sia lavorata, nel territorio compreso tra Siracusa e Termini.

In questo modo, la città divenne snodo importantissimo del commercio internazionale di seta: mediante l’intermediazione degli armatori locali e dei mercanti genovesi e toscani, in seguito, di quelli francesi e inglesi, la seta prodotta in Sicilia approdava a Livorno, Genova, Marsiglia, da dove in gran quantità veniva esportata anche fino a Lione, e Londra. La presenza di mercanti toscani, veneziani, genovesi, fiamminghi, francesi e inglesi, quindi lo sviluppo di una dimensione internazionale, favorì la crescita del tessuto politico ed economico cittadino.Tanti erano i privilegi e le prerogative che la città dello Stretto riuscì ad ottenere che fu definita “una repubblica dentro al regno”.

Se Messina diventava la capitale della gelsicoltura, Palermo lo era del grano, però, fu proprio qui che i musulmani introdussero la gelsi-bachicoltura, ma, già nel ‘200, essa fu introdotta nel messinese, un territorio meglio predisposto ad accogliere tale coltura generando, nel tempo, quella crescita che permetterà alla città peloritana, alla fine del Cinquecento, d’imporsi in questo settore. Nelle varie fasi del ciclo produttivo, le donne avevano un ruolo importante in quanto covavano in seno le uova dei bachi per 40 giorni e una volta schiuse, facevano nutrire i vermi con le foglie triturate dei gelsi.

Una fase fondamentale della lavorazione era la “trattura”, nell’ambito della quale, i maestri trattori, ottenevano i fili di seta mediante dei mangani, forniti di grandi ruote, di circa 2 metri di diametro, su cui si faceva arrotolare il filo di seta “tratto” dalle bave dei bozzoli. La seta ottenuta era più grossa, resistente e robusta ma anche meno pregiata rispetto a quella ricavata mediante l’uso di mangani di dimensioni più ridotte. Il prodotto, una volta “tratto” grezzo “a matassa”, era in gran parte destinato ad entrare nei circuiti commerciali internazionali dove, fino a tutto il Seicento, era fortemente richiesto: addirittura, bisogna pensare che alla fine del XVII secolo, a Lione, la più importante città europea per la manifattura serica, oltre un quarto delle sete lavorate erano importate dalla Sicilia.

La seta che non veniva esportata era destinata alle botteghe di filatori e tessitori delle uniche tre città isolane, Messina, Palermo e Catania, a poter effettuare le fasi successive del ciclo produttivo. I maestri tessitori, con la loro arte, davano vita ad abiti preziosi, velluti che rivestivano sedie e divani, tessuti utilizzati per i paramenti sacri.

Ma la filiera virtuosa legata alla seta, che aveva fatto la fortuna della Sicilia e soprattutto di Messina, era destinata ad entrare in crisi per poi giungere, almeno sull’Isola, al crepuscolo definitivo. In tal senso, le prime avvisaglie di ciò che sarebbe accaduto furono già riscontrabili nel 1674, quando gli Asburgo decisero di castigare Messina, poichè era insorta, privandola dei privilegi di cui la città aveva goduto per oltre 80 anni (sin dal 1591). La decisione asburgica diede un durissimo colpo a tutte le attività legate alla produzione e al commercio della seta e Messina, perdendo i suoi privilegi, iniziò ad essere abbandonata dai mercanti, stranieri e locali, e dagli artigiani, provocando la perdita di un tesoro di maestranze, conoscenze e reti relazionali.

Lo scoppio della guerra di successione spagnola (1701-1715) e la concorrenza delle sete piemontesi, lombarde e lionesi, concorsero a dare un’altra spallata alla produzione serica siciliana. Nel corso del Settecento ci saranno tentativi per ricostituire un tessuto socio- produttivo quasi irrimediabilmente perduto ma la peste del 1743 e il terribile terremoto del 1783 che colpirono la città dello stretto, diedero, di fatto, il colpo di grazia alla bachicoltura isolana, definitivamente abbandonata dopo gli anni ’50 del XIX secolo, quando si diffuse la pebrina, una malattia del baco da seta.

Una vicenda, quella della seta siciliana spesso dimenticata o non ricordata per come meriterebbe, rimanendo soffocata, forse, dall’incredibile ricchezza di prodotti che questa terra offre. Un bene di lusso, la seta, che permise ad una città come Messina, già per sua natura e per collocazione geografica predisposta ad aprirsi ai traffici internazionali, di crescere politicamente ed economicamente, cambiando gli equilibri interni dell’Isola, arrivando a sfidare il primato di Palermo.

Una storia, quella della Sicilia, di Messina e della gelsi-bachicoltura che permetterà, per circa un secolo, alle sete siciliane di giungere nelle piazze mercantili più importanti d’Europa.

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