Non è il tanto sbandierato costo del lavoro che impedisce alle banche di recuperare redditività. L’Ufficio Studi della First Cisl ha analizzato i conti dei primi mesi del 2017 dei cinque maggiori gruppi bancari italiani (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Banco Bpm e Ubi) che dimostra che tagliare il personale non è la strada giusta da seguire. Il problema vero, invece, è la svendita delle sofferenze per pulire rapidamente i bilanci delle banche anziché adottare una sapiente gestione dei crediti deteriorati affidandola ai loro stessi dipendenti con beneficio per i conti e per l’occupazione.
“Tra gennaio e settembre 2017 l’incasso netto da commissioni è stato pari per Unicredit a 5 miliardi di euro – afferma Gabriele Urzì della Segreteria Nazionale First Cisl Gruppo Unicredit – a riprova che l’attività bancaria tradizionale resta redditizia. In sostanza il miglioramento dei conti deriva da quello che le banche incassano per la tenuta dei conti correnti, per i servizi, di investimento, incassi e pagamenti, finanziamenti, tutte attività collegate strettamente al fattore lavoro. Il parametro che “brucia” redditività è rappresentato dalle rettifiche sui crediti che pesano per miliardi di euro sui conti delle banche”.
“Anche in Sicilia – incalza Urzì – Unicredit continua a denunciare esuberi e a mandare in esodo migliaia di dipendenti, con una visione miope e deleteria di riduzione dei costi ritenendo, erroneamente, che il problema sia il costo del lavoro. Ma il vero problema sono le enormi svalutazioni pretese dai regolatori europei, col risultato che si continuano a svendere crediti deteriorati che potrebbero invece essere recuperati attraverso una loro gestione paziente, ritornando a dare reddito ed occupando il personale”.
“Solo con l’ultimo accordo del febbraio 2017 in Unicredit – continua – altri 350 dipendenti in Sicilia lasceranno anticipatamente il posto di lavoro entro la durata del piano industriale, in assenza di un turn over che è ormai indispensabile. Anche in Sicilia si continua erroneamente a sostenere che ci siano lavoratori in esubero mentre la rete è al collasso a causa della miopia strategica dell’azienda mirata al disimpegno in una Terra dalle enormi potenzialità”.
“Lo studio della First Cisl – conclude Urzì – dimostra che il problema non è certo il costo del lavoro e quindi il numero dei dipendenti. La verità è che Unicredit non vuole investire nel territorio siciliano e sta dilapidando la ricca eredità del Banco di Sicilia e della Sicilcassa che, dopo la fusione e la gestione di Capitalia, consisteva di un patrimonio di oltre 400 sportelli nell’isola contro i 35 di Unicredit”.