Il grande salto dal mondo accademico a quello del lavoro rimane la grande incognita dei laureati, specie in Sicilia. Che gli indici occupazionali dell’Isola non siano tra i migliori d’Italia appare quasi scontato, ma che il titolo universitario conseguito nella regione valga meno degli altri suona beffardo e comunque rappresenta una triste novità.
Il desiderio di ogni studente, una volta conclusi i propri percorsi formativi, è quello di poter sfruttare a pieno il traguardo raggiunto per fini occupazionali e non soltanto poter incorniciare ed appendere in casa la propria pergamena.
Sono pochissimi i dipartimenti siciliani che hanno ottenuto il riconoscimento di “eccellenza” a confronto con le altre sedi universitarie italiane. L’Università degli studi di Palermo, dove oggi siede come Rettore Massimo Midiri può vantare soltanto la nomina del dipartimento di giurisprudenza come eccellenza accademica, così come l’Università di Catania. Anche l’Università di Messina, da dicembre 2022 vanta il riconoscimento di eccellenza per il Dipartimento di Giurisprudenza.
Il premio viene conferito in base alla valutazione di alcuni progetti presentati dalle singole facoltà finalizzati ad un miglioramento o un incremento dell’offerta formativa. Naturalmente, la nomina consente anche l’erogazione di contributi pubblici da parte del Ministero dell’università e della ricerca, in ausilio alla realizzazione del progetto.
In Sicilia l’offerta di lavoro è costantemente carente rispetto alla domanda anche per ciò che riguarda i livelli d’istruzione più elevati. L’Isola a causa delle scarse prospettive occupazionali e del basso numero di “eccellenze” universitarie, si posiziona in fondo alla classifica per tasso di occupazione nel triennio successivo al conseguimento del titolo. Quasi il 40% dei laureati siciliani, secondo i dati diffusi dall’Istat, è disoccupato dopo tre anni.
La situazione si fa ancora più impietosa se confrontata con quella di altre regioni. Ad esempio, in Trentino Alto-Adige quasi l’83% dei laureati ha già trovato un lavoro nel triennio successivo alla laurea. I dati siciliani si pongono anche al di sotto della media nazionale che si attesta intorno al 75% di occupati entro tre anni dall’ottenimento del diploma accademico.
Nell’elaborazione dell’Istat si tiene conto soltanto di laureati siciliani che non sono impegnati in ulteriori percorsi di formazione o d’istruzione, ma questo ovviamente non vuol dire che i neolaureati siciliani battano la fiacca.
Ormai da cinque anni a questa parte il numero di giovani isolani che non studiano e non lavorano è in lenta e costante diminuzione. Questo significa che, quando non è possibile emergere nel mondo del lavoro attraverso il possesso del solo titolo accademico, i ragazzi e le ragazze della nostra regione cercano di affinare le proprie conoscenze con percorsi formativi mirati o di specializzazione. Questo aspetto consentirebbe, infatti, di ottenere uno sbocco diretto nel mercato di riferimento, tramite stage o tirocini extracurriculari. Spesso il costo di tali percorsi di formazione non è indifferente e grava nella maggior parte dei casi sulle famiglie.
Infine, nonostante il grado d’istruzione delle donne siciliane sia nettamente migliorato negli ultimi anni, questo incremento non ha determinato un proporzionale aumento del tasso occupazionale. Al contrario, si è verificato un peggioramento nel divario di genere in tema di occupazione tra uomini e donne siciliane.