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Viaggio nella chiesa dei tesori. Un gioiello nel pieno centro di Palermo [Gallery] [Video]

lunedì 10 Aprile 2017

 

Una storia lunga sette secoli, una bellezza imponente e maestosa –la magnificenza Cinquecentesca di una grande chiesa siciliana – quanto protetta e ritirata, tra i corridoi, le cucine e il refettorio del monastero di clausura.

Migliaia di visitatori, turisti ma soprattutto palermitani, fanno la fila in questi giorni alla scoperta di uno dei suoi tesori meno conosciuti, malgrado si trovi nell’ombelico del suo centro storico, circondata da altri tesori dell’itinerario arabo-normanno tra cui non rischia certo di sfigurare.

Chiusa per anni alla Città, la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria torna a mostrarsi in tutto il suo malandato splendore: dal ricco altare d’argento alle delicate tarsie marmoree che decorano le pareti, dalle statue della sante domenicane in contemplazione a quella di Santa Caterina, opera delle mani ispirate del Gagini. Ma se affascina la visita della chiesa, ciò che emoziona davvero è l’ingresso nell’inviolato monastero di clausura, da secoli precluso ai laici e persino agli stessi prelati– neppure il parroco poteva accedervi – ed oggi, senza più suore da ospitare e bisognoso di urgenti manutenzioni , aperto per pochi giorni alle visite. Il tutto nell’attesa che il fund-raising appena avviato, rivolto alla mano pubblica e a quella privata, possa dare i suoi auspicati frutti.

Intanto si sbiglietta a pieno ritmo (3 euro il ticket d’ingresso, più che giustificato) e si coprono almeno le spese di questa impegnativa e breve kermesse, che andrà avanti sino al 25 aprile ma che sarà difficile non prolungare, stante l’imprevisto successo di pubblico che ha messo in crisi l’organizzazione dell’Arcidiocesi palermitana, basata essenzialmente sul volontariato. Un flusso che non potrà che accrescersi nei due prossimi fine settimana – Pasqua e ponte del 25 aprile – e che potrebbe indurre ragionevolmente Curia e Sovrintendenza a protrarre almeno di un’altra settimana questa opportunità. La chiesa per anni è stata accessibile ai fedeli solo per le ricorrenze liturgiche maggiori, per le veglie di Natale o di Pasqua o per il Giovedì Santo e dopo essere stata riaperta da un associazione nel 2008, era stata richiusa nel 2014 a causa di un provvedimento giudiziario.

Il monastero, si diceva. Il must di questa iniziativa è proprio quello di poter passeggiare nel chiostro maiolicato, circondato da alberi da frutto in perfetta regola con le potature stagionali (si vede che almeno il giardiniere è rimasto), visitare il refettorio, le cucine ristrutturate negli anni Cinquanta, il parlatorio della priora, curiosando fra le grate attraverso cui le suore si confessavano o insinuandosi nei meccanismi delle ruote, attraverso cui esse comunicavano con il mondo esterno: passando i paramenti al parroco per le funzioni, ricevendo la posta oppure – occorrendo – accogliendo i neonati che povere mamme indigenti affidavano alle loro cure, avviando all’inesorabile clausura le femminucce o (forse) a una vita più fortunata i maschietti, che se in buona salute potevano aspirare a una famiglia agiata in grado di occuparsene. Quando verrà ristrutturato, dal monastero spariranno probabilmente l’orribile scaldabagno che campeggia in cucina, le tristi lampadine a risparmio energetico che penzolano al soffitto e i rubinetti anni Settanta in perenne gocciolamento sull’antica pila (non c’è traccia di lavatrice, almeno a vista): eppure sono questi piccoli dettagli a dare la misura di quale possa essere stata la vita delle ultime anziane suore, sperdute in questa immensa struttura divenuta troppo grande per loro. Anche quando erano rimaste in poche, ciascuna aveva conservato il posto di sempre nella sala del refettorio, mangiando a distanza dalle altre nel silenzio della lunga giornata spezzato solo dopo l’ora di cena, per la breve “ricreazione” in cui era consentito parlare.

Peccato che per motivi di sicurezza non sia possibile visitare gli alloggi al piano superiore, che tanto ancora potrebbero svelare della vita quotidiana delle ultime suore di clausura.Già, che fine avranno fatto? Le ultime due o tre, quasi centenarie e non più in grado di provvedere a se stesse, sono state trasferite a Roma poco tempo fa. Di loro si sa poco, neppure i loro nomi, ma pare che il giorno della partenza abbiano lasciato tutto in perfetto ordine – letti rifatti e strofinacci riposti con cura negli armadietti della cucina – prima di volgere l’ultimo sguardo alla loro casa, nella certezza di non rivederla più.

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