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Villa Ranchibile: un’aristocratica dimora di Palermo tra misteri e fasti del passato

lunedì 2 Marzo 2020

Ci sono dimore nobiliari, come Villa Ranchibile, che sono scrigni preziosi contenenti le storie delle famiglie che vi si sono succedute. Immaginatela come un telaio in cui, incontrandosi la trama e l’ordito, producono un tessuto, in questo caso “umano”, di grande pregio. Il nostro racconto parte da un lontano passato per arrivare al nostro presente.

Villa Ranchibile

La Casina 

La “Casina“, eretta nel 1713 dal Conte Domenico Antonio Gravina y Cruyllas, ha una lunga storia che la vide passare, nel 1738, ai Valdina e poi, nel 1787-78, a Donna Anna Maria Monroy Riccio, Principessa di Pandolfina, che la affidò, per la ristrutturazione, alla maestria del famoso Architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, che volle imprimerle una forte impronta Neoclassica. Da quel momento divenne “Casina Magnatizia Principesca” e, nel 1860, Villa Ranchibile per una convenzione stipulata, presso il notaio Filippo Lioniti Scagliosi, tra il Principe di Formosa Don Alonso Alberto Monroy e Lucchesi Palli e il Municipio di Palermo. Adesso, però, facciamo un passo indietro.

La Famiglia Monroy

La nobile famiglia Monroy, al centro della nostra narrazione, originaria dell’Estramadura, aveva tra i suoi rampolli il celeberrimo Ferdinando Cortes de Monroy, conquistatore del Messico, e la già citata Donna Anna Maria Riccio che, figlia unica di Alberto Ambrogio e Adriana Milo, ricca e aristocratica ereditiera, nel novembre 1773, sposò Don Ferdinando Monroy e Morso, Principe di Pandolfina e Marchese di Garsigliano. Stimata per le sue grandi doti intellettuali e morali, ebbe cinque figli: Donna Maria Antonia, che sposò Don Giovanni Gioeni, Duca D’Angiò e Principe di Petrulla; Donna Aurora, che si unì in matrimonio con Don Giuseppe Oneto e Lanza, Duca di Sperlinga, Principe di San Bartolomeo, Marchese di S. Nicolo, Visconte di Francavilla, Barone di Regalmallerna, di Santa Venera, del Vaccarrizzo; Donna Adriana Ferdinanda che, rifugiatasi nel nobile Monastero della Pietà in Palermo, prese i voti diventando Suor Concetta Ferdinanda; Don Alonso Ambrogio; Don Alberto, che morì in tenera età, e Don Alonso Giuseppe, futuro Conte di Ranchibile.

L’educazione che impartì ai suoi ragazzi fu molto severa e incentrata sul fatto che dall’essere nobili ne derivavano grandi responsabilità e tra queste, in primis, fare del bene a chi era stato meno fortunato. Nel 1804 Don Ferdinando Monroy e Morso moriva, all’età di sessantadue anni, lasciando inconsolabile la Principessa Donna Anna Maria che, non appena si fu ripresa dallo sgomento e dal dolore, volle dare l’investitura ufficiale di Principe di Pandolfina e Marchese di Garsigliano, titoli che erano appartenuti al marito, al figlio Alonso Ambrogio che, nel 1809, sposò la Principessa Donna Felice Barlotta e Ferro, figlia dei Principi di San Giuseppe.

Per l’occasione lo splendido Palazzo di via Alloro, cancellando il lutto in cui era sprofondato, si aprì, mostrandosi in tutta la sua ritrovata e gioiosa bellezza: soffitti affrescati, medaglioni con paesaggi, incorniciati da stucchi barocchi, troneggianti su porte e finestre, morbidi e pregiati tappeti lungo le scalinate e sui pavimenti dei saloni, quadri degli antenati, tra cui spiccavano il conquistatore del Messico di cui abbiamo parlato, Don Ferdinando Monroy e Zuniga, il primo del Casato stabilitosi a Palermo, e un’intera parete dedicata allo scomparso principe di Pandolfina, padre dello sposo.

Il 1° Marzo 1812, dopo tre anni di matrimonio, nacque Don Ferdinando Monroy e Barlotta. La nonna, estasiata dalla bellezza e dalla somiglianza del piccolo col compianto sposo, spesso gli ripeteva: “Mio dolce Ferdinando, Mio Principe Ferdinando“, suscitando i suoi sorrisi. Il secondogenito di Donna Anna Maria Riccio e di Don Ferdinando Monroy e Morso, Don Alonso Giuseppe Monroy e Riccio, che ebbe il titolo di “Cavaliere”, in tutti i documenti dal 1825 in poi, compreso il testamento della madre, compare con il titolo di Conte di Ranchibile. Avendo, però, vissuto sempre nel Palazzo Pandolfina di Via Alloro non fu lui a dare  il nome di Villa alla Casina dei Colli. E  Allora chi fu?

Don Alonso Ambrogio Monroy e Riccio, Principe di Pandolfina, ebbe tre figli: Don Ferdinando, Don Giuseppe, che darà il nome a Villa Ranchibile, e Don Salvatore. Il primogenito, che alla morte del padre ereditò tutti suoi titoli, sposò Donna Maria Anna Ventimiglia, figlia naturale di Don Gaetano, Principe di Belmonte; il secondogenito, di cui ci occuperemo più lungamente visto il suo legame con la Casina, secondo l’usanza vigente in casa Monroy, ereditò il Titolo di Conte di Ranchibile;  il terzogenito, Don Salvatore, quello di Duca di Realmena e, in occasione del suo matrimonio con Donna Francesca Ascenzo e Lucchesi-Palli, l’ex feudo di Fiumegrande.

Don Giuseppe Conte di Ranchibile

Don Giuseppe Monroy e Barlotta, Conte di Ranchibile

Don Giuseppe nacque a Palermo il 20 aprile 1816 e, raggiunti i ventuno anni di età, ricevette, essendo morto Don Giuseppe Monroy e Riccio, Conte di Ranchibile, il suo Titolo. Il 5 aprile 1840, a soli ventiquattro anni, sposò Donna Maria Lucchesi-Palli e Pignatelli, dei Principi di Campofranco e, dopo la morte improvvisa del padre, avvenuta nel 1850, curò con immenso amore filiale la madre tanto che, pur essendo unico proprietario della Casina ai Colli, non vi andò ad abitare per non lasciarla sola; cosa che avvenne quando il fratello Don Ferdinando si stabilì a Villa Pandolfina in Via Alloro. Solo allora, con la famiglia, si trasferì in quella che sarebbe diventata Villa Ranchibile. Fu, probabilmente, lui a far edificare le quattro colonne doriche che incorniciavano l’entrata e apporre su di essa la scritta “Ranchibile” in caratteri bronzei. Il suo primogenito, Don Alonso Alberto Monroy e Lucchesi Palli, nato nel 1842, da Donna Angelina Allegra, che sposò nel 1866, ebbe sei figli: Don Giuseppe, Donna Maria Pace e Donna Marianna, che morirono in giovane età; Don Giovanni, Donna Adele, la futura proprietaria di Villa Ranchibile, e Don Antonio.

Adele Monroy

Donna Adele Samonà Monroy 

Figlia di Don Alonso Alberto Monroy e Lucchesi-Palli e Donna Angelina Allegra, Principi di Formosa, nata nel 1873 e fino al 1937 vissuta a Villa Ranchibile, di cui era la proprietaria e il più bel fiore, era dotata di una tale intelligenza che le permetteva di far convivere fede e ragione, coltivare le lettere e la filosofia e parlare svariate lingue. Prendendo ad esempio l’antenata Principessa Donna Aurora Monroy Morso, che aveva fatto parte dell’Accademia dei Pastori Ereini, fondata nel 1730, iniziò a frequentare il mondo della cultura palermitana e nel “Circolo Amato” conobbe quello che sarebbe diventato il marito tanto amato, il Professore Carmelo Samonà. Grandissimo oratore e insigne studioso rimase talmente colpito dalla sua bellezza e dal suo acume da presentarsi, dopo poco tempo, da Donna Angelina Monroy Allegra per chiederle la mano della figlia.

Don Carmelo Samonà

Don Carmelo Samonà, originario da un’antichissima famiglia di provenienza mediorientale, giunta in Italia dall’Iran o, secondo altre fonti, dall’Anatolia, era figlio di Don Giuseppe e Donna Alessandra Samonà Smith che, ricchissimi, avevano una dimora accanto a Palazzo Butera, una in Via Alloro, una bellissima Villa a Gibilmanna, possedimenti nella Piana di Cefalù e, oltre che a Mistretta, anche a Spadafora e a Venetico, famose per i due castelli che gli appartenevano. Carmelo era uno dei più famosi studiosi italiani di parapsicologia, celebre nei circoli culturali della città per le sue appassionate e scrupolose indagini sulla mente umana e sui suoi poteri. Per la sua Laurea in Medicina, aveva redatto una tesi su “I Fenomeni detti spiritici (Metapsichici del Richet)“, medico e fisiologo francese, vincitore di un Nobel nel 1912, che si interessò di fenomeni medianici e paranormali, definiti sotto il termine “Metapsichica“.

Carmelo Samonà

L’amore tra Adele e Carmelo 

Donna Angelina Monroy Allegra chiese alla figlia se contraccambiava l’amore del giovane e, leggendo la felicità sul suo volto, acconsentì. Nel 1896 Adele e Carmelo si sposarono e per il loro viaggio di nozze visitarono Messina, Napoli e Roma, dove ricevettero la Benedizione Apostolica da Papa Leone XIII. Durante la loro assenza, a Villa Ranchibile, nel piano nobile, venne preparato quello che sarebbe diventato il loro “nido”. Nell’appartamento accanto avrebbero continuato a vivere Donna Angelina e i figli Giovanni e Antonio. Quel genero così affettuoso e attento riusci a conquistare la suocera che, di giorno in giorno, riponeva in lui una fiducia sempre maggiore.

Dal matrimonio di Adele, dama della fede, e Carmelo, cavaliere della ragione, nacquero: Giuseppe, che diventerà uno dei più celebri architetti e urbanisti del Novecento; Alberto che, trasferitosi in età matura a Spadafora, darà vita a “Le Venetiche”, una grande industria di laterizi; Ferdinando che, anni dopo, sarebbe stato nominato segretario siciliano del Partito Liberale; Antonio, grande studioso di letteratura e di teatro e, nel 1905, Alessandra, la tanto attesa femminuccia che, all’età di cinque anni si ammalò di una grave forma di meningite virale che, il 15 marzo del 1910, alle nove di sera, la strappò alla vita.

Sulla piccola continua ad aleggiare un mistero che resterà irrisolto (LEGGI QUA).

Villa Ranchibile, che era stata la casa della gioia, oasi di pace e serenità, si trasformò in un abisso fitto di tenebre con Donna Adele che, lacerata da insopportabili fitte di dolore, trovava conforto solo in Gesù e nella Madonna che pregava affinché accogliessero al sua bimba e ne avessero cura. Strani fenomeni, che le avrebbero fatto dubitare delle sue facoltà mentali, attendevano la disperata mamma e tra questi le tante apparizioni della figlioletta che annunciava il suo ritorno assieme a una gemellina. Nonostante Donna Adele sapesse di non poter più avere figli in quanto sei mesi prima, rimasta incinta, dopo una caduta accidentale, aveva subito un aborto spontaneo, con una complessa operazione chirurgica, che le aveva precluso la possibilità di essere di nuovo madre, qualcosa di inaspettato stava per accadere.

Castello Samonà a Spadafora

La famiglia Samonà trascorse l’estate nel castello di Spadafora, un’altra delle loro proprietà, e il 9 agosto Don Carmelo, insospettito dalle forme morbide della moglie, chiamò il Dottor Vincenzo Cordaro, colui che le aveva diagnosticato l’impossibilità di procreare nuovamente e che, con un misto di incredulità e felicità , rivolgendosi ai coniugi, diede loro questa incredibile notizia: “Certo, è assurdo. Eppure, signori miei, non posso negare che un insieme di fatti mi induce ad affermare, e senza ombra di dubbio, che siamo in presenza di una gravidanza e per di più gemellare“. A fine settembre, tornati a Palermo, ebbero confermata la diagnosi dal dottore Giuseppe Giglio, medico cefaludese e uno dei massimi esperti in Italia nel campo della ginecologia e ostetricia.

Il 22 novembre del 1910, a Villa Ranchibile, nacquero due gemelle di cui una, per la straordinaria somiglianza con la sorellina scomparsa, venne chiamata Alessandrina e l’altra, invece, Maria Pace. La prima custodiva in sé i ricordi, i modi di fare, la verve della sua omonima, tanto che Don Carmelo decise di pubblicare, dans le “Journal Aesculape”, un lungo articolo in cui raccoglieva gli avvenimenti che avevano per protagonista la figlia. Il resoconto non passò inosservato, anzi la storia della presunta reincarnazione di Alessandra conquistò la scena del dibattito internazionale perché la rivista, edita in francese, era tenuta in grande considerazione dagli scienziati del tempo.

Un altro lutto, la più terribile delle sciagure, nel 1923, piombò su Villa Ranchibile, la scomparsa di Don Carmelo, pilastro della famiglia, figura fondamentale nella crescita di quella bimba, diventata ormai donna che, lasciatasi alle spalle l’infanzia, aveva adesso un mondo fatto da eventi, anche drammatici come questo, che appartenevano solo a lei. Da quel giorno nulla fu più lo stesso e un epilogo, che avrebbe cambiato il corso delle cose, si avvicinava a grandi passi. Prima di ciò, però,  i giovani rampolli, uno ad uno, si sposarono: il primo a farlo fu Giuseppe, poi Alberto con Donna Rosa Vanni dei Duchi d’Archirafi, Ferdinando con Donna Rosetta Migliori, Maria Pace con il Giudice Dottor Antonio Lanza, Antonio con Donna Clara Cipolla e Alessandrina, per ultima, col Generale Giuffrida.

Lo Stadio Ranchibile

Una curiosità riguarda il primo campo di calcio del Palermo, nei primi del Novecento, per cui fu utilizzato un terreno chiamato Varvaro, in via Marchese Ugo, presto soprannominato “u Pantanu” per le piogge che lo trasformavano in  fanghiglia. Adele e Carmelo Samonà, allora, nel 1913, in sostituzione di quell’inadeguato rettangolo di gioco, concessero alla squadra cittadina l’utilizzo di una pertinenza di Villa Ranchibile per realizzarvi il campo sportivo, che sarà appunto chiamato Stadio Ranchìbile. Inaugurato il 16 marzo del 1914, venne utilizzato da diverse società calcistiche palermitane, diventando teatro di incontri storici, come le ultime vittorie del Palermo in Coppa Lipton che permisero ai rosanero di aggiudicarsi il trofeo. Sempre al Ranchibile, la squadra cittadina mosse i primi passi nei campionati federali che, a a partire dal 1921, vennero allargati anche alle squadre del Sud, oltre che a quelle siciliane. L’ultima partita, che venne disputata, prima che venisse inaugurato lo stadio Littorio il 24 gennaio del 1932, il 3 gennaio dello stesso anno, vide i rosanero battere la Comense 5 a 0.

Villa Ranchibile viene ceduta ai Salesiani

Nonostante la gioia che questi matrimoni e le voci dei nipotini, che piano piano andavano popolando Villa Ranchibile, rincorrendosi nei giardini, le avevano regalato, dopo la morte di Carmelo, Donna Adele non era più la stessa. Il pensiero che su quella casa, così tanto amata, gravasse una maledizione dovuta alle sedute spiritiche che Don Carmelo, nel 1912, aveva tenuto al pianterreno con la celebre medium partenopea Eusapia Paladino con cui, peraltro, la nobildonna aveva stretto un bel legame di amicizia, si era insinuato in lei. Quelle sedute medianiche, all’epoca, furono frequentate da un nutrito gruppo di studiosi palermitani che,  coordinati proprio da don Carmelo, si vedevano con frequenza nei locali di Villa Ranchibile per realizzare i propri esperimenti sul mondo dell’occulto. Il dubbio che simili pratiche fossero alla base delle sfortune di famiglia le fu instillato da un salesiano, sua guida spirituale, come si legge nel libro E’ Gia Mattinadel pronipote Alberto Samonà, che la convinse a cedere ai preti, nonostante la strenua opposizione del figlio Alberto, la Casina dei Colli, diventata Casina Magnatizia Principesca e, infine, Villa Ranchibile.

La Villa, così, nel 1937, diventava “Istituto Salesiano di Educazione”, che verrà chiamato in ricordo dei legittimi proprietari, nonché benefattori, proprio “Ranchibile“. Una Villa che, con i nuovi proprietari e negli ultimi ottant’anni, ha completamente trasformato la propria fisionomia – ad eccezione della facciata che dà sull’attuale piazza Don Bosco – con nuovi plessi dedicati all’attività didattica e con la quasi totale scomparsa dei suoi lussureggianti giardini.

Vogliamo interrompere questa appassionante saga familiare, che ha avuto il suo cuore pulsante in Villa Ranchibile, nel 1950, anno della scomparsa di Donna Adele, principessa di Formosa e di Pandolfina, figlia e sorella amata, moglie e madre dolcissima che, con il marito, Don Carmelo, formarono una coppia unita da complicità, stima, fiducia e da una fede e una ragione che, se non contrapposte ciecamente, come questa storia ci dimostra, possono non solo convivere, ma dare frutti meravigliosi.

A Villa Ranchibile, ancora oggi, gli echi del passato coprono le voci del presente.

 

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