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Alessandrina Samonà Monroy, la bimba che visse due volte

domenica 11 Novembre 2018
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La storia che vi raccontiamo è dei primi anni del Novecento e vede al centro un presunto caso di reincarnazione che ha per protagonista Alessandrina Samonà Monroy, nata da un’aristocratica famiglia siciliana e incredibilmente somigliante a una sorellina, morta a soli cinque anni, che sembra averle trasmesso tratti somatici, ricordi d’infanzia, espressioni e abitudini. La nostra preziosa fonte, oggi, è il libro “È già Mattinadi Alberto Samonà, che di Alessandrina è nipote.

Ma facciamo un passo indietro e ricostruiamo l’albero di cui la bimba fu uno dei rami: dal matrimonio del professore Carmelo Samonà – proveniente da un’antichissima famiglia di provenienza mediorientale, giunta in Italia dall’Iran o, secondo altre fonti, dall’Anatolia, uno dei più famosi studiosi italiani di parapsicologia e nei circoli culturali palermitani celebre nel campo dell’indagine sulla mente umana e sui suoi poteri – con Adele Monroy, principessa di Formosa e di Pandolfina, erede di una nobile casata di ascendenze spagnole, donna con un’educazione fortemente cattolica, fondata sul rispetto della religione e nell’amore verso la fede, nascono diversi figli. Giuseppe, che diventerà uno dei più celebri architetti e urbanisti del Novecento; Alberto che, trasferitosi in età matura a Spadafora, darà vita a “Le Venetiche”, una grande industria di laterizi; Ferdinando, che anni dopo sarebbe stato nominato segretario siciliano del Partito Liberale; Antonio, grande studioso di letteratura e di teatro e, nel 1905, Alessandra, la tanto attesa femminuccia.

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La piccola è inseparabile dalla mamma, tanto da accompagnarla da Villa Ranchibile, allora campagna, in città a far visita a parenti e amiche oppure, i sabati e le domeniche, in piacevoli gite fuori porta nei dintorni di Palermo. Alessandra, Alessandrina per i genitori, è vivace, intelligentissima e ha il vezzo di parlare in terza persona. A quattro anni sa già leggere e scrivere ma, forte di carattere, è ostinatamente mancina e nessuno, né gli educatori, né Don Carmelo, né la principessa Adele, riescono a convincerla a scrivere con la destra (particolare da non sottovalutare per il prosieguo della storia). Diventa ben presto la celebrità delle feste di famiglia perché ama prendere in giro zii e cugini storpiando volutamente i loro nomi e cognomi, che trasforma in buffi soprannomi, come zia Caterina, ad esempio, in zia Caterona, per poi scoppiare in risate contagiose. Quella adorabile petite peste è la gioia dei genitori, tanto che il padre, appena torna a casa, lasciando fuori la sua veste di studioso, si trasforma in un narratore di fiabe, aspettando che la piccola si abbandoni tra le sue braccia vinta dal sonno.

All’età di cinque anni, però, Alessandrina si ammala di una grave forma di meningite virale; visitata dai più noti dottori, la piccola peggiora di giorno in giorno, colpita sempre più spesso da fortissimi mal di testa in cui i momenti di lucidità si alternano ad alterazioni di coscienza dovute alla febbre alta, in pochi giorni la situazione precipita e il 15 marzo del 1910, alle nove di sera, la bimba muore. Villa Ranchibile piomba nel lutto, nell’abisso di fitte tenebre. Sono lontanissimi i giorni felici che vedevano la bimba scorrazzare in giardino con i fratelli più grandi; sembrano lontanissimi i ricordi dei suoi atteggiamenti buffi, dei suoi scherzi e dei suoi interrogatori curiosi. Donna Adele, affranta e piegata da un insopportabile dolore, crede di essere stata causa della morte della figlia perché, due giorni prima che comparissero i sintomi della meningite, l’aveva duramente redarguita, dandole uno schiaffo che aveva fatto fuggire la piccola in lacrime. Niente e nessuno riescono a consolarla, l’unico conforto lo trova in Gesù e nella Madonna che prega affinché accolgano al sua bimba e ne abbiano cura.

Alessandrina appare in sogno alla mamma
Tre giorni dopo la sua morte, è la notte del 18 marzo 1810, mentre Donna Adele giace nel suo letto, alternando momenti di veglia a momenti di sonno perturbato, con le ore che passano lentamente e la luce dell’alba ancora lontana, le appare, come se fosse in carne e ossa, la figlioletta che le rivolge queste parole: “Mammina mi spiace tanto per ciò che è successo. Tu conosci bene l’amore che provo per te e papà e non avrei mai voluto darvi questo terribile dolore. Ma adesso non devi piangere. Io non ti ho lasciata, ma mi sono soltanto allontanata temporaneamente da te“. La bimba mostra alla madre qualcosa che tiene fra le mani e somiglia a un embrione: “Ecco sono diventata piccola così e tu dovrai ricominciare a soffrire per me, ma di una sofferenza fisica, al termine della quale io sarò nuovamente fra le tue braccia. Mammina ti voglio tanto bene e te ne prego, dai un bacio da parte mia a papà e rassicuralo della mia condizione“. Adele si riaddormenta e al mattino racconta lo strano sogno al marito che si mostra turbato e particolarmente interessato, tanto da chiederle di ricordare il maggior numero di particolari.

Il 21 marzo, un altro misterioso evento scuote la nobildonna. Per la seconda volta le appare Alessandrina e la visione si conclude con un’affermazione ferma e rassicurante: “Ritornerò. Ritornerò. Ritornerò“. Piange Adele per quel crudele scherzo della notte, anche perché lei sa di non poter più avere figli. Sei mesi prima, infatti, nel settembre del 1909 era rimasta incinta ma, il 21 novembre, dopo una caduta accidentale, un aborto spontaneo e una complessa operazione chirurgica, i medici, concordi, avevano affermato che mai più sarebbe diventata madre. Un pomeriggio come tanti, i coniugi sentono tre colpi secchi dietro la porta del salone, uditi anche dai tre figli, presenti in quel momento. Spalancata la porta, ma non trovando nessuno, si convincono che quegli strani accadimenti sono collegati tra loro e decidono, in quel preciso istante, di stabilire la sera stessa, e nella stanza a pianterreno dove lo studioso, otto anni prima, aveva ospitato le sedute con la sensitiva napoletana Eusapia Paladino, un contatto con quell’entità. Dopo aver abbassato la luce delle lampade ad olio, Adele e Carmelo, seduti attorno a un tavolino circolare e poggiati i palmi delle mani, dieci minuti dopo, notano il tavolo che comincia a muoversi, i piedi battere a terra e chi è nell’altrove manifestarsi e affermare di essere la figlioletta morta qualche giorno prima.

Nascono Alessandrina e Maria Pace

Passa il tempo ma, grazie all’assistenza di una medium, le comunicazioni continuano. I primi di maggio del 1910 la coppia, che si trova nel castello di Venetico, a pochi chilometri da Messina, per un breve soggiorno, comincia a notare qualche rotondità sospetta in Adele, a cui rifiutano di credere. La sera di mercoledì, 4 maggio, una seconda notizia viene loro predetta: “Mammina, ti voglio tanto bene. Voglio, però, che tu sappia che in te se ne trova ancora un’altra“. Quella frase oscura inizia a tormentarli e la principessa comincia a temere per il suo fragile equilibrio.

La famiglia Samonà trascorre l’estate nel castello di Spadafora, sempre in provincia di Messina, un’altra proprietà di famiglia, ma il 9 agosto arriva al castello il dottor Vincenzo Cordaro, che aveva assistito Adele durante l’aborto e le aveva diagnosticato l’impossibilità di procreare nuovamente. L’espressione del medico, a fine visita, è un misto di incredulità e felicità che si traduce in queste parole: “Certo, è assurdo. Eppure, signori miei, non posso negare che un insieme di fatti mi induce ad affermare, e senza ombra di dubbio, che siamo in presenza di una gravidanza e per di più gemellare“. A fine settembre, tornati a Palermo, hanno la conferma dal dottore Giuseppe Giglio, medico cefaludese, uno dei massimi esperti in Italia nel campo della ginecologia e ostetricia.

Il 22 novembre del 1910, nel suo appartamento di Villa Ranchibile, Donna Adele Monroy, assistita dal marito, dà alla luce due gemelle. Una delle due neonate, che presenta una somiglianza straordinaria con la sorellina scomparsa, viene chiamata Alessandrina e l’altra Maria Pace. Alessandra ha lo stesso lieve arrossamento vicino all’occhio sinistro, una quasi impercettibile eruzione cutanea attorno all’occhio destro e una leggera asimmetria facciale (il sogno che si fa reale). Il tempo trascorre velocemente e le bimbe crescono a vista d’occhio ma, mentre Maria Pace è spesso irrequieta, adora i giocattoli e ama stare in compagnia delle sue bambole, Alessandrina, invece, preferisce giocare con gli altri bambini, non si lamenta mai e, a differenza della gemellina, ha gli stessi comportamenti, la repulsione verso i formaggi e la fobia dei parrucchieri, della sua sfortunata piccola omonima. Come la prima, tra i suoi passatempi preferiti c’è quello di giocare con le scarpe dei fratelli, indossandole e camminando goffamente per i saloni; è mancina e tutti gli sforzi dei genitori per correggerla non danno frutti e, quando Villa Ranchibile si riempie di ospiti per pranzi o riunioni familiari, si diverte a storpiare i nomi degli invitati, prendendoli in giro e scoppiando in limpide risate. Chiama la sorella del padre, Caterina, “zia Caterona”, proprio come la sorellina scomparsa.

Altre similitudini tra le due Alessandrina
L’8 giugno del 1919 Carmelo e Adele, approfittando di una splendida giornata di sole, decidono di portare le gemelle, elettrizzate per quella giornata, a visitare Monreale. Sulla strada che li conduce al duomo normanno, Alessandrina, sentendo il racconto della madre, al contrario della sorellina, fa smorfie di disappunto spiegando ai genitori che lei a Monreale c’è già stata e ne ricorda la piazza con una grande chiesa, con sul tetto la statua di un uomo alto con i capelli lunghi e le braccia aperte, dei piccoli preti rossi, buffi con la loro lunga barba. La memoria riporta a galla che, pochi mesi prima che la prima Alessandra morisse di meningite, erano andati a Monreale e la piccola era rimasta colpita da alcuni sacerdoti ortodossi, dalle barbe molto lunghe, vestiti con tuniche blu orlate da un’elegante fascia rossa che si trovavano all’interno del duomo. Il passato che, d’un tratto, si fa presente, l’annullamento spazio-temporale e il fluire dell’eternità.

Altro tassello, che rafforza un dubbio ormai divenuto certezza, è che all’arrivo a Mezzomonreale, in visita a dei parenti, la bimba, scesa dalla carrozza, si precipita dentro l’abitazione e, correndo su per le scale, entra dentro la stanzetta della figlia tredicenne dei padroni di casa per prendere e giocare con una bambola del Settecento. Alessandrina si scusa con queste parole, lasciando tutti trasecolati: “Scusate se sono andata via rapidamente, ma avevo un grande desiderio di giocare con questa bambola che non vedevo da troppi anni e a cui sono molto affezionata“. Appare nuovamente Mnemosine e con lei il ricordo di una visita fatta anni prima a quei familiari  e la piccola intenta a giocare con la bambola della cuginetta. Qualche tempo dopo Don Carmelo pubblica dans le “Journal Aesculape” un lungo articolo in cui raccoglie gli avvenimenti che hanno per protagonista la figlia. Il resoconto non passa inosservato perché la rivista, edita in francese, è tenuta in grande considerazione dagli scienziati del tempo e la storia della presunta reincarnazione di Alessandra conquista la scena del dibattito internazionale.

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Gli anni passano
I giorni, i mesi e gli anni passano, sbiadendo gli ultimi ricordi d’infanzia che tenevano legate le due sorelline. Ormai ragazza, Alessandrina ha una sua identità ben definita, ma come la prima che, attratta dalla spiritualità, rivolgeva al padre continue domande sull’argomento, sente un richiamo verso l’alto che la spinge a dare alla vita un senso “altro” rispetto alle relazioni sociali e alla mondanità. La giovane trascorre l’adolescenza tra Villa Ranchibile e Gibilmanna, prediligendo la compagnia del padre con cui parla di soprannaturale, trascendenza, Aldilà, Dio, temi che non interessano i suoi coetanei. In quegli anni, che vedono un’aristocrazia annaspante e i cui rappresentanti diventano simboli da abbattere, lei si dedica allo studio dei grandi autori della letteratura italiana e francese e, nella splendida Villa di Gibilmanna, dominata dalla sacralità del santuario dedicato alla Vergine Maria, tra i boschi che sembrano riconciliarla con l’universo tutto, trascorre i suoi anni più belli. Un lutto, la perdita più terribile, quella dell’amato padre, Don Carmelo, arriva nel 1923, un annus horribilis che spezza quel legame, lasciandole un vuoto incolmabile.

Alessandrina e le visioni
Nell’estate del 1940, la ragazza e alcuni amici decidono di fare un picnic su una spianata alle falde del Pizzo San’Angelo di Gibilmanna. Tra loro c’è Laura, la sua migliore amica, prossima alle nozze. Il gruppo decide di cimentarsi, solo per gioco, in una seduta spiritica fra risate e battute sdrammatizzanti ma, durante quei minuti, qualcosa effettivamente succede. Alessandrina decide di appartarsi e, seduta sotto un imponente pino secolare, sente dentro una vibrazione mai provata: ai suoi occhi e al suo cuore appare Laura partoriente, vestita di bianco e distesa su un letto, circondata da medici e infermieri. Poco dopo la scena muta e la ragazza ha un’espressione fissa, vitrea, è dentro una bara e al suo fianco c’è il giovane marito. Alessandrina, sconvolta, non rivela la sua visione per non turbare l’atmosfera bucolica e gioiosa di quel giorno ma, nel 1943, come previsto, l’amata amica, dopo appena un anno dal matrimonio, muore di parto. Nelle settimane e nei mesi successivi incomincia ad avere esperienze simili, che le rivelano di avere facoltà nascoste e impreviste. Quando la notizia di questo suo dono si diffonde in molti cominciano ad avere una grande curiosità che, piano piano, lascia il posto a un profondo rispetto per quella donna che dà voce ai cari scomparsi e che, con delicatezza, non si tira indietro di fronte alle richieste, vivendo questo suo “talento” come una missione. Le basta un fazzoletto, un paio di occhiali, una penna o una qualsiasi oggetto del defunto, infatti, per avere delle immagini che racconta ai congiunti; solo del futuro non rivela nulla, forse per non condizionare il destino di chi la ascolta. Nel 1950 scompare Donna Adele, l’amata madre, la principessa di Formosa e di Pandolfina, moglie e madre dolcissima che, per amore, era riuscita a conciliare la sua profonda religiosità con gli interessi del marito, esempio di come fede e ragione possano convivere e dare frutti meravigliosi . Un altro sostegno che le viene meno.

Il matrimonio con il generale Giuffrida
Per fortuna la vita toglie e la vita dà e, dopo la Seconda guerra mondiale, Alessandra sposa il generale Carmelo Giuffrida, l’amore della vita, che possiede una proprietà a Villa dei Pini, nelle campagne di Montevago, in provincia di Agrigento. In quel luogo dominato dalla natura, che le ricorda la sua Gibilmanna, ritrova la sua fanciullezza e vi trascorre, assieme al figlio Giacomo, lunghi periodi dell’anno. Anche qui in molti le fanno visita per ricevere conforto sui parenti scomparsi, che parlano attraverso di lei, e Alessandrina, con parole dolci e di speranza che provengono da un mondo in cui “regna un amore immenso che si nutre della luce divina”, conforta amici e sconosciuti, non chiedendo nulla in cambio, ma nutrendosi della serenità regalata. A Montevago una delle sue mete preferite è il santuario della Madonna delle Grazie che il marito, apprezzato cultore della storia di questi luoghi, le racconta essere stato la sede di un eremitaggio, abitato da San Nicola e da altri monaci dell’Ordine di Sant’Agostino; ma ciò che colpisce Alessandrina, a riprova che il caso non è mai un caso, è che questa leggenda è incredibilmente somigliante a quella del santuario di Gibilmanna. In entrambi i casi, infatti, un carro trainato da buoi si ferma perché gli animali si rifiutano di andare oltre. Due località da lei così amate, una specchio dell’altra.

I suoi tre libri
Alessandrina parla delle sue esperienze con il Padre gesuita Federico Weber, sacerdote colto e aperto, che la invita a vedere queste sue facoltà alla luce della fede e della totale fiducia in Dio. Decide di raccontarsi attraverso dei libri: in “I Misteri della Psiche” scrive pagine indelebili sul suo periodo adolescenziale tanto che, anni dopo, anche il Papa, informato sulla sua profonda religiosità, la riceverà in udienza privata. In “Bagliori nelle tenebre” condensa alcuni casi di cui si è occupata in ambito medianico-spiritico e scrive del padre: “Spero e sento di poter tenere accesa la luce paterna necessaria per sollecitare cuore e menti. E quando svolgo questa particolare attività psichica è come se lo spirito di mio Padre alitasse intorno a me nel non facile cammino intrapreso“. Infine, in “Anima e Spirito“, distribuito in poche centinaia di copie e introvabile dopo pochissimo tempo dall’uscita in tipografia, raccoglie le esperienze degli ultimi anni ed espone il proprio pensiero sulle questioni legate all’anima e al Divino.

La scomparsa di Alessandrina
L’1 giugno del Duemila se ne va in punta di pedi, con la lievità e la discrezione con cui aveva vissuto; senza clamori, come diretta ad una nuova e più luminosa destinazione, nella vera casa, quella del Padre. A trovare il suo corpo è il figlio Giacomo che, non riuscendo a dormire, a notte fonda si alza, come spinto da una voce interiore, e trova la madre, sul divano del soggiorno di casa, con gli occhi chiusi e il volto sereno. Muore a novant’anni, Alessandrina, dopo aver vissuto una vita intensa votata all’affetto dei suoi cari e a quella ricerca interiore che fu la sua missione di vita.

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