Siamo, spesso, attanagliati da pensieri ossessivi che riguardano qualcosa di accaduto (per es., una storia d’amore finita) o dall’ansia per ciò che potrebbe accadere (per es., un possibile crollo finanziario). Si finisce con il rimuginare sui possibili “perché”, sui “potevamo fare e potevamo dire”, con non meno amare, catastrofiche o, persino, apocalittiche previsioni per il futuro, che rendono nere e oscure le nostre visioni e agitati i sonni. La positività viene sostituita da contenuti tossici e paralizzanti come rabbia, tristezza, disperazione, etc.. Le domande da porci dovrebbero essere: “Cosa posso imparare dall’esperienza vissuta? Come posso fare per non ripeterla? Per non arrivare a toccare il fondo e accorgermi in tempo di stare camminando verso un precipizio?” e, invece, finiamo solo con il tormentarci su una nostra presunta o eccessiva inadeguatezza, su quanto abbiamo perso e non conquistato. Ogni fine è un nuovo inizio, un’opportunità di crescita e di ri-evoluzione ma ci si convince che la vita è finita, che non c’è futuro da vivere. Giovani di 28 anni, con tutta la vita davanti, adulti di 45 anni o adolescenti, piangono al mio “capezzale” per ciò che non hanno e non possono avere piuttosto che per ciò che è alla loro portata. Se un rapporto non va è inutile insistere. Perseverare diviene diabolico e un modo inconsapevole di volersi male. Sono le paure, gli interessi e i bi-sogni che condizionano la nostra intera esistenza.
Come spegnere il cervello prima che si verifichi un cortocircuito emotivo?
In medicina, in psicologia clinica e in natura vige il cosiddetto “principio della similitudine”, ben esposto da Hahnemann, e che viene definito come la possibilità di guarire da un’affezione con un’affezione più forte, assai simile a essa nelle sue manifestazioni. Ci si può liberare dalle ossessioni, dunque, con delle ossessioni, uguali, simili o contrarie, nella fonte, nella meta e nell’oggetto. Cosa vuol dire? Ogni genere di attività a cui l’essere umano si applica è una forma di ossessione: lo è l’arte, lo sono gli hobby, etc. Se non fossimo ossessivi, perseveranti, ansiosi, meticolosi, organizzati non vedremmo germogliare i semi piantati nell’orto da noi coltivato con fervida sollecitudine.
Per potere vincere sintomi fastidiosi e ridondanti occorre, dunque, scoprire che cosa distoglie la nostra attenzione da quel pensiero tossico, cosa può allontanare la mente dal fuoco fino a che quella fiamma si affievolirà del tutto e passerà, inevitabilmente e matematicamente, nel dimenticatoio. È un concetto neuroscientifico che riguarda il funzionamento psichico globale: non si può mantenere la concentrazione su più cose contemporaneamente. Vero è che mentre si stende un articolo, il metabolismo lavora per la digestione di quanto ingerito a pranzo e altri processi psichici e meccanismi neurobiologici sono attivi, tuttavia il multitasking è relativo ed è un’illusione. Non siamo strutturati per svolgere più funzioni in un medesimo momento (Earl Miller 2017). Per fare respirare la mente, dunque, basta dedicarsi e applicarsi in qualcos’altro e tac! Il gioco è fatto. È praticamente impossibile che, cioè, isolando il problema d’interesse, escludendo l’informazione irrilevante o di disturbo, per eseguire un determinato compito o raggiungere un altro obiettivo (per es., ultimare un quadro, una scultura, un libro, etc.), si possa ancora pensare, nella stessa misura, a quello che poco tempo prima sembrava attraccato come una sanguisuga al nostro cervello risucchiandone l’energia vitale e riducendo il, già poco, tempo che abbiamo in vita.
Come ho già ribadito in precedenti scritti, occorre sublimare e non guarire, canalizzare l’energia e non lasciarla ristagnare, intossicando e facendo ammalare l’organismo tutto (Freud 1914). Persino la rabbia, apparentemente così negativa, può indurci ad azioni nobili e nobilitanti. Non esiste la casualità, tutto ha un doppio senso, uno divino e l’altro umano: il primo, rintracciabile nel passato di un individuo, attraverso un lavoro analitico, e, il secondo, ignoto, per la maggior parte. Tuttavia, nessun male viene per nuocere o per essere curato, estirpato ma per curare, per dare la direzione (Jung 1935). Se esistono pensieri ossessivi si ha anche la capacità innata e acquisita di farsi tiranneggiare dalla mente. Questa attitudine può essere trasformata e usata in modo costruttivo e sano dall’individuo.
Io ho un’ossessione, un tiranno, una mania: la Psicologia clinica (Freud 1914). Se un pensiero mi assilla e non riesco a studiare, creo opere con connotati psicoanalitici. Se non ho l’ispirazione, corro al galoppo del mio cuor folle per ore. Se non ho abbastanza energia fisica, mi dedico agli amici e così via. L’obiettivo deve essere edonico: stare bene, educando e controllando il lato oscuro. Accettarsi e riconoscersi è il primo passo per il decision making più proficuo.