Carissimi,
Non posso pensare al Natale, senza pensare a Zio Felice.
Felice di nome perché nei miei ricordi di bambino, Zio Felice era sempre “ncazzatu”, benché nei miei confronti godesse di una sorta di predilezione data al più piccolo dei nipoti che lo aveva per empatia scelto come zio di riferimento soprattutto nelle festività natalizie, in quel periodo che si apriva con la notte del 24 dicembre e si chiudeva il 6 gennaio, dopo un lungo periodo di visite ricambiate, di tavolate luculliane e di giocate a tombola o al mercante in ferie, dove per rispetto gli veniva dato il compito di “tirare i numeri” o estrarre le carte.
Lo Zio Felice era quello che oggi non potremmo definire “un congiunto”, poiché zio acquisito, avendo sposato una cugina dei miei genitori, ma molto vicina alla famiglia.
Era un “omone” alto quasi un metro e novanta e una corporatura robusta, non grassa, ma impostata, con una barba non sempre curata, una calvizia non completa essendo solito portare i capelli lunghi sulla nuca.
Ma la caratteristica che lo rendeva identificabile era lo strabismo dell’occhio destro alquanto evidente, che certamente lo rendeva naturalmente incazzato ma che a me faceva tanta simpatia e mi metteva allegria il solo vederlo.
Un uomo che aveva sognato la divisa, ma purtroppo …e così rivolse i suoi studi alla legge e finì per diventare un dignitoso cancelliere di tribunale con una carriera soddisfacente alle spalle, ma io lo conobbi che era già in pensione e l’unica divisa che di lui ricordo era la pettorina della confraternita d’appartenenza durante la processione estiva in paese, vedendolo procedere in fila con un cero acceso, uno spettacolo.
Ma il Natale era una ricorrenza al quale si teneva e quelle cene duravano tanto certamente per la varietà delle portate, ma ancora di più per i racconti e gli aneddoti che ognuno degli anziani narrava suscitando l’ilarità degli altri, una sorta di Decamerone natalizio, sempre pulito sia nei temi che nei termini utilizzati, peccato che a quel tempo non esistevano i telefonini per registrare e tenere memoria di quelle narrazioni.
Io ero piccolo e non conoscevo nessuno di quei personaggi evocati nei racconti ma venivo stimolato nell’immaginazione e chiedevo nei momenti di pausa a Zio Felice di descrivermi meglio questi “parenti mitologici” ed ecco che spuntava fuori la “scatola magica”, la scatola di latta dove venivano custodite le foto di diversi formati in rigoroso bianco e nero, raccolte in quelli che prima sostituivano i moderni album fotografico o le slide delle presentazioni multimediali.
Era li che attraverso foto tessere, foto di cerimonie, foto di momenti conviviali agresti il “mito” prendeva forma e il Natale si arricchiva nella mia immaginazione di personaggi aggiuntivi seduti come ologrammi in bianco e nero attorno a quella tavolata, anche grazie alla maestria e dovizia di particolari introdotti dallo Zio Felice nella paziente narrazione.
Era gente semplice ed io privilegiato, nato nei “tempi moderni” e nato e cresciuto in città mi appassionavo alle tradizioni e le radici familiari.
Ed ecco scoprire storie di famiglie costituite da undici figli, le tante donne vestite in nero non per scelta e necessità di rappresentare una elegante siluetta ma per il susseguirsi dei periodi di lutto, le tante zie monache non sempre per vocazione ma per fame o perché da orfanelle era quasi una opzione obbligata, gli uomini che si risposavano non per far da emuli a Richard Burton e Liz Taylor ma perché rimasti vedovi cercavano una buona ragazza, spesso consigliata dal curato, per crescere i propri figli rimasti orfani. Le storie dei poveri contadini usciti dal proprio paese soltanto per andare in guerra o per fare la leva.
Tante storie in quella scatola di latta che ancora oggi non ha eguali con le moderne narrazioni del natale “commerciale”, dei TIR con alla guida Babbo Natale o delle tavolate con la pasta impiattata dove a sorpresa si presenta l’inaspettato congiunto.
Natale non è mai stato importante per ciò che si porta a tavola, ma lo è ancora di più per ciò che lo precede e lo segue. I ns non sono periodi di fame e le opportunità conviviali si moltiplicano durante l’anno, ma il Natale è bello perché raccoglie la famiglia, è bella la preparazione, il pensiero da dedicare alle persone a noi care, il ricordo di coloro che non ci sono più, la cura dei nuovi arrivati nelle famiglie che crescono.
Natale è convivialità e non potrà mai essere contingentato, autocertificato, quanto meno nell’evocazione e nei ricordi, paradossalmente se fosse ancora vivo, in questo giorno importante Zio Felice non potrebbe esser con noi a “tirare i numeri” della sua mitica tombola e pertanto Buon Natale ristretto ai Vs. nuclei familiari, per quest’anno è andata così.
Un abbraccio Epruno.