«Non esito a definire Grasso la più grande delusione professionale della mia carriera, visto che ero stato fra i suoi principali sponsor per il suo arrivo a Palermo, avendolo sempre considerato un allievo di Falcone. Ma, ovviamente, un conto era la magistratura siciliana prima della morte di Falcone, altro paio di maniche il dopo. Grasso non resse l’impatto e la responsabilità e fu il “normalizzatore” dell’era post Caselli: tutte le indagini e le notizie di reato considerate ‘politicamente scomode’ finivano, in un modo o nell’altro, nel cestino della procura. E la classe politica, a destra come a sinistra, gliene è sempre stata grata». Lo scrive l’ex pm di Palermo, Antonio Ingroia, nel suo ultimo libro “Le Trattative”, edito da Imprimatur.
Il volume, con la prefazione di Marco Travaglio e l’introduzione dell’ex capo della Direzione nazionale antimafia Franco Roberti, è stato presentato oggi a Roma, col pm Nino Di Matteo.
«Matteo Renzi e Berlusconi si sono intesi subito bene, si assomigliano pure parecchio – afferma Ingroia nelle pagine del libro – . A Berlusconi il governo Renzi è andato benissimo perché ha fatto quello che il Cavaliere ha sempre provato a fare, senza però riuscirci per l’opposizione del principale partito della sinistra e di parte consistente della stampa e dell’opinione pubblica; a Renzi, Berlusconi a capo del centrodestra è andato altrettanto bene, assicurandogli un’opposizione finta quando non un vero e proprio appoggio, diretto o indiretto». E aggiunge: «Ognuno è garanzia per l’altro. Sognando sempre l’happy end, ossia il Partito della nazione, sotto cui ritrovarsi ancora insieme”.
Sempre Ingroia, nel suo volume afferma: «Il collaboratore Vincenzo Calcara raccontò a Borsellino del progetto di attentato che era stato organizzato qualche anno prima quando lui era a Marsala, tra l’altro un progetto di attentato era previsto nei miei confronti, come a dire: io ero il candidato di riserva, se non riuscivano a uccidere Borsellino, uccidevano me. Borsellino una volta mi disse che questo andava sicuramente a mio merito, ma forse in realtà stavo cominciando un po’ troppo presto, perché io a quell’epoca avevo solo trent’anni, mentre lui la scorta la aveva avuta intorno ai quaranta…», aggiunge l’ex magistrato al quale dopo 27 anni, a maggio, è stata tolta la scorta. L’ex pm, che a Palermo ha condotto l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ha più volte denunciato di essere in una condizione di “pericolo grave e attuale”.
E alla luce della recenti motivazioni della sentenza del Borsellino quater che confermano il depistaggio in via D’Amelio, Ingroia propone «una commissione parlamentare d’inchiesta “seria” per chiarire le responsabilità politiche e storiche sulla trattativa Stato-mafia e sulla strage di via D’Amelio».
Ingroia ‘sfida’ il Governo: «e questa vuole essere la legislatura del “cambiamento” e si vuole una terza Repubblica immune dalle ombre della prima e della seconda», si faccia luce sul passato. La sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia – ha detto – «è stata per noi un clamoroso successo, epocale, ma è rimasta un’opera incompiuta. Epocale è stata anche la sentenza Borsellino quater di Caltanissetta, perché ha rilevato il più grande depistaggio della storia da parte di uomini dello Stato. Cosa potrebbe aver indotto tale depistaggio se non una responsabilità diretta nella strage di via D’Amelio?”.
Ingroia ipotizza, infatti, che Borsellino potesse essere venuto a conoscenza della trattativa Stato-Mafia e che l’avrebbe rivelata. Per far luce su queste vicende l’ex magistrato chiede “una commissione parlamentare d’inchiesta seria, non come la commissioni antimafia delle ultime legislature che di tutto si sono occupate tranne che di trattativa. Questo ho chiesto al presidente della Camera, Fico: sarebbe un segnale di reale cambiamento. Se il governo e il parlamento vogliono essere quelli del cambiamento istituiscano una commissione parlamentare”, che abbia “spazio per accertare responsabilità politiche, penali e storiche”.