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Salvo, il medico anarchico che sogna di salvare il fiume Oreto

martedì 18 Settembre 2018

Lo anticipano sempre i suoi cani. Mimì la più piccola è allegra e anticonformista, Kila la più grande è taciturna e solitaria, un’elegante e anziana signora con le perle al collo e tanta voglia di sorseggiare il suo tè lontana dalle storture mondane.

Palermo può essere narrata a partire dalla tenacia di chi crede ancora nella bellezza. E allora capita di incontrare chi ancora sogna una città più bella. E lo fa a partire dai luoghi immaginifici, quelli che a sognarli più eleganti ci vuole davvero il coraggio della meraviglia. Quella che ti prende per mano e ti accompagna lungo i sentieri tortuosi di una città che forse avrebbe solo bisogno di riappropriarsi dei suoi spazi più fascinosi. Scorre l’Oreto, scorre inesorabile, stretto tra i frammenti eraclitei che nessuno riesce più decifrare. Bagna le rive sporche di materassi abbandonati, mentre qualcuno lo guarda con la nostalgia dei profumi della Conca d’Oro. La nostalgia è una sosta gentile che ci permette di risalire il letto del fiume, con fatica, contro-corrente. Con l’acqua che ti lega le caviglie e il passo.

Piazza Bonanno è il luogo perfetto per incontrare Salvo Bucchieri, il “medico anarchico” che sogna di salvare il fiume Oreto. Con un pit bull dolcissimo che ti fa il “prio” e corre a leccarti le gambe. È il luogo ideale della narrazione, di anni di impegno accanto ad un gruppo di donne e uomini tenaci che stanno cercando di realizzare un sogno che abbraccia la possibilità di rivedere il nostro fiume come era un tempo. Libero dall’ignavia, dall’incapacità di ripensarlo come spazio da donare alla città, ai suoi bambini, alle famiglie.

E mentre il medico palermitano che sta in trincea ogni giorno, lavorando al pronto soccorso del Policlinico di Palermo, dialoga con la mia curiosità, come mi capita spesso, i miei pensieri prendono le forme dell’immaginazione. E mentre narra le rive e i sentieri, i ponti, i passaggi chiusi, i panorami, gli alberi, i profumi, io incastono e taglio, dipingo e scrivo. E penso che dovrà amare molto questa città perché quando ne parla gli si staglia una gioia negli occhi che mi fa ricordare quella dei bambini. Un sorta di ingenuità ancestrale che lo salva dal dolore al quale è costretto ad assistere ogni giorno. Quel dolore fatto di colpi ben assestati alla schiena, lividi e ferite, quando la morte diventa solo una firma. Nulla di più. E allora perché non provare a ricucire gli spazi, i sentieri, ad afferrare gli zampilli delle cascate. Perché non tentare di tratteggiare, come in un quadro di Monet, le ninfee che galleggiano sui colori dell’acqua al tramonto. Quando la natura ti avvolge divenendo totalizzante e non ti rimane che l’abbandono estatico tra le sfumature del mondo, un dono della luce ai nostri occhi.

E vorresti comprenderlo il fiume Oreto, vorresti abbracciarlo e sentirlo scorrere pulito. Mentre Salvo parla io mi rivedo, assieme alla mia Palermo, coi piedi a penzoloni a sorseggiare vino dopo una giornata di lavoro. O ancora a leggere un libro stesa in un prato. Un fiume è quello che ci vuole, penso tra me e me. C’è, ma non c’è. Ecco l’Oreto non esiste o forse è solo un sogno da realizzare. Una visione onirica che attraversa la città, come il dottore Bucchieri che assieme ad una folta schiera di ragazze e ragazzi, è riuscito a sognare e a farlo per tutti noi.

Tra i tetti di Palermo scorrono leggere le tegole ondulate della città, onde sinuose che palesano il destino antropologico dei suoi abitanti. Bambini giocano nei loro pomeriggi sulle scale, con bamboline, cavallucci e sacchi di immondizia. Una trattoria cucina pesce fresco e ragù con carotine fresche. È la Palermo che amo. E Salvo fuma tabacco mentre spiega che la milza si trova a sinistra. Roba da Prospettiva Nevski e lo spiega alla gente che gli vive accanto, anzi addosso. Un uomo con una lunga cicatrice sul volto lo bacia e poi si allontana zoppicando.

Attorno il frastuono che fa Palermo. In silenzio canticchio una musica leggera, non la sente nessuno. Per fortuna neppure Salvo. E mi tornano in mente i luoghi del FAI (Fondo Ambiente Italia)e come con più di 15.000 voti siano riusciti ad essere i primi in tutta Italia, ma la partita è ancora aperta e si voterà fino a novembre. E allora sosteniamolo questo movimento civico. Iniziamo anche noi e a votare i nostri sogni. Passeggiando i tetti delle case, dai terrazzi che aprono la possibilità e forse la necessità di guardare tutto da altre angolature. Accarezzando tutto dall’alto, afferrando ciò che ci appare impossibile, tra le dita, disegnando i contorni. Mimi’ è tornata a leccarmi le gambe, Kila sonnecchia elegante. Il dottore ha portato i suoi occhi altrove. Ergo, è ora di fare la nostra parte.

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