Sembrano racconti d’altri tempi quelli di Gaspare Pulizzi e Antonino Pipitone. Le lupare bianche del 1999 e del 2000 con cui sparirono Francesco Giambanco, Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, danno il senso della ferocia con cui viene colpito chi “sgarra”, non c’è speranza né pietà. Le dinamiche di quegli omicidi erano già venute a galla nelle autoaccuse di Pulizzi, ma è stato decisivo il contributo del neopentito Antonino Pipitone, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe D’Angelo (uccio il 22 agosto del 2006 per errore, i sicari volevano eliminare Lino Spatola). Le loro testimonianze hanno permesso ai carabinieri di fermare Giovan Battista Pipitone, Salvatore Cataldo e Antonino Di Maggio. E’ stato individuato negli Stati Uniti Ferdinando Gallina. Il pericolo di fuga ha fatto propendere la Procura per la misura del fermo.
Giambanco fu ucciso il 16 dicembre del 2000. Quello che restava del suo cadavere carbonizzato venne trovato nella campagne di Villagrazia di Carini. “Abbiamo buttato la macchina in una traversa di via Magellano – ha detto Pulizzi – un accesso verso la campagna. L’abbiamo incendiata”. L’ordine di uccidere Giambanco veniva dagli zii di Pipitone, Giovan Battista e Vincenzo, e comunque anche i Lo Piccolo erano d’accordo. Era sospettato di aver contribuito alla scomparsa per lupara bianca di Federico Davì e poi – come disse Pulizzi – “era una scheggia impazzita” nel senso che sarebbe stato il responsabile di una serie di strani e reiterati incendi che si erano verificati a Carini. “I miei zii mi dissero che avremmo dovuto fissargli un appuntamento per attirarlo in una trappola – mette a verbale Pipitone il 4 ottobre scorso – L’appuntamento era al suo deposito che si trova dietro il cimitero di Carini. Io, Gaspare Pulizzi e Freddy Gallina uscimmo allo scoperto e prendemmo la vittima per le mani e per i piedi: lo portammo nel deposito di Cataldo dove quest’ultimo lo colpì con un attrezzo di lavoro (Pulizzi aveva parlato di un bastone, ndr) fino a fargli perdere conoscenza. Quando Giambanco cadde a terra, gli scivolò dai pantaloni una pistola: ricordo che era una 357 magnum cromata. Se la prese Gallina per ricordo”.
A ripulire il magazzino dove fu ucciso Giambanco rimase Cataldo. Gaspare Pulizzi si mise alla guida della macchina con il cadavere, mentre Gallina e Pipitone lo seguivano con un’altra auto. “Incendiammo la macchina utilizzando la benzina – ha detto Pipitone – quando la macchina prese fuoco, ce ne andammo e la abbandonammo senza occultarla”.
Ancora nessun ritrovamento, invece, dei cadaveri di Failla e Mazzamuto, uccisi il 26 aprile del 1999. I loro corpi sarebbero stati messi dentro il bagagliaio di un’auto e interrati. I due erano considerati molto vicini alla fazione di Cosa nostra carinese riconducibile a Calogero Battista Passalacqua e mal sopportavano – secondo gli inquirenti – la reggenza della famiglia di Carini attribuita dai Lo Piccolo a Giovan Battista Pipitone. Inoltre, avrebbero danneggiato l’azienda di Salvatore Cataldo. “Volevano fare per conto loro”, ha detto Pulizzi. Così Salvatore Lo Piccolo avrebbe ordinato di ucciderli. Anche in questo caso i due vennero attirati in una trappola, a casa di Totò Cataldo a Villagrazia. “Failla fu colpito per primo con un’ascia – ha spiegato Pipitone – per poi essere strozzato con una corda. Di Maggio, che era armato, prese Mazzamuto che provò inizialmente a opporre resistenza, ma successivamente fu colpito con un colpo proveniente dalla pistola di Di Maggio. Io ho assistito a tutta la scena, è stato il primo omicidio a cui ho assistito . Fui coinvolto nell’occultamento dei cadaveri che furono messi – da me e da tutti i presenti – in alcuni sacchi e lasciati nella macchina di Mazzamuto, che quello stesso giorno fu schiacciata con mezzi meccanici e occultata in un terreno che però non so indicare”.
Ancora più spaventoso il racconto di Pulizzi: “Failla piglia i primi due colpi, naturalmente si accascia a terra, dandogli altri due colpi poi si è messo assieme lì, buttato assieme a Mazzamuto. Naturalmente il divano dopo è stato buttato, è stato caricato subito direttamente, perché nel divano c’era sangue e c’era sangue anche a terra”. A Pulizzi, Sandro Lo Piccolo disse: “Enzo (Pipitone, ndr) mi disse ca foru urricati cu tutta a machina (sepolti con tutta la macchina, ndr)”. Ma dell’auto , finora, non c’è traccia.