Piero Grasso a Palazzo Chigi? La storia fa dei giri strani. Il 6 gennaio del 1980, Piero Grasso è il magistrato di turno ad accorrere in via Libertà sul luogo dell’omicidio di Piersanti Mattarella. Sul posto c’è un giovane docente universitario, Sergio Mattarella. Attonito, tiene tra le braccia il cadavere del fratello, il presidente della Regione siciliana che si era opposto alle regole mafiose degli appalti.
Ne è passato del tempo. Lo ha ricordato lo stesso Grasso l’anno scorso: “Quando ci siamo conosciuti, trentacinque anni fa, eravamo persone diverse. In quel momento di dolore, rabbia e smarrimento, mai avremmo potuto immaginare che gli imprevedibili percorsi della vita ci avrebbero portato in un luogo solenne come il Salone dei Corazzieri per questa cerimonia”. Chiaro, in quell’occasione, il riferimento del presidente del Senato all’omicidio di Piersanti Mattarella.
Ora un nuovo passaggio delicato sul piano istituzionale. Mattarella dovrà accogliere le dimissioni irrevocabili di Matteo Renzi. L’ormai ex capo del governo è irremovibile: il No al referendum costituzionale pone fine all’esperienza del suo governo, senza possibilità di un secondo appello. Al Capo dello Stato toccherà indire le consultazioni per capire se esista la possibilità di formare un nuovo governo. Esistono solo due possibilità per scongiurare il rischio di elezioni anticipate.
La prima è quella di un governo tecnico guidato da Padoan. Ma sarebbe come sfidare il voto del referendum. Gli italiani non hanno soltanto detto “No” alla Riforma Renzi Boschi ma si sono schierati in massa contro “l’eurocrazia”. Un dato evidente anche per il numero degli elettori accorsi alle urne. L’alternativa è un governo “del presidente”, guidato da una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso. Chi potrebbe opporsi a un governo guidato dall’ex capo della Procura di Palermo e della Direzione nazionale Antimafia? Sicuramente non potrebbero schierarsi contro i grillini, che hanno sempre avuto parole di elogio per l’ex magistrato palermitano. E in fondo sarebbe questa la migliore soluzione per parlare al cuore della gente, per rassicurare sulla tenuta della democrazia.
Il boccino, tuttavia, resta nelle mani di Matteo Renzi, che è ancora segretario del Pd e dispone della maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati. Il capo dello Stato, che già da domani alle 10 potrebbe ricevere il premier dimissionario, gli avrebbe ventilato l’ipotesi di inviare il governo alle Camere, per verificare la possibilità di un bis. Ma Renzi ha fatto sapere che le sue dimissioni sono irrevocabili, pur garantendo l’approvazione della legge di stabilità.
Da domani sarà dunque il presidente della Repubblica, considerato anche dall’opposizione un garante affidabile, a gestire la partita del ”dopo”. A lui gli esponenti del centrodestra e i Cinque stelle hanno già fatto pervenire, attraverso le dichiarazioni alla stampa, l’auspicio di elezioni anticipate, magari dopo un breve periodo per fare la legge elettorale.
Aggiornamento: Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha “congelato” le dimissioni di Matteo Renzi. Dopo l’incontro di questa mattina al Quirinale, al premier è stato chiesto di restare in carica sino all’approvazione della legge di Bilancio. La decisione di Renzi è stata comunicata alla fine della riunione lampo del Consiglio dei Ministri di questo pomeriggio. Dopo il Cdm, Renzi è tornato al Colle per parlare ancora una volta con il Presidente Mattarella. I tempi dell’approvazione della legge di Bilancio dovrebbero essere strettissimi, con una chiusura già nella sessione di questa settimana. L’appello di Mattarella si condensa nel principio “scadenze da rispettare”. Renzi ha detto di “accettare per senso di responsabilità e per evitare l’esercizio provvisorio”.