Chiede a gran voce verità e giustizia Deborah Percolla. La ventisettenne catanese che il 2 luglio del 2015 ha visto nascere il suo bambino con delle gravi lesioni permanenti perché i due medici in servizio all’ospedale Santo Bambino del capoluogo etneo per non trattenersi a lavoro hanno ritardato di proposito a intervenire con il cesareo. Questo è quanto accaduto secondo la Procura. Nell’ambito dell’inchiesta, coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, è stato già eseguito un incidente probatorio sui danni neurologici subiti dal bambino. “Chi ricorre ad una struttura pubblica deve avere la certezza di essere tutelato al massimo. Voglio verità e giustizia e soprattutto che quello che è accaduto a me non si ripeta ad altre madri e figli”. La dichiarazione è stata rilasciata dalla donna attraverso l’avvocato Gianluca Firrone perché non vuole alzare polveroni mediatici. “La famiglia non vuole pubblicità ma la verità e per questo vuole la massima riservatezza e il rispetto della privacy – commenta il legale – L’inchiesta è stata portata avanti con grande professionalità e segretezza dalla Procura di Catania”.
Intanto i tre medici sono stati sospesi dall’esercizio della professione. La misura cautelare è stata disposta, su richiesta della Procura di Catania, nei confronti di Amalia Daniela Palano, Gina Currao, entrambe accusate di non avere eseguito subito un parto cesareo per “evitare di rimanere a lavorare oltre l’orario previsto” e per somministrato alla donna dell’atropina simulando una falsa regolarità nel tracciato. Sospesa anche Paola Cairone, per “avere praticato alla paziente le cosiddette manovre di Kristeller, bandite dalle linee guida”. Sono state sospese rispettivamente per dodici, sei e quattro mesi.