Dalla primavera dei gelsomini al mercato di Charlottesburg, nel cuore di Berlino Ovest. Il tutto passando per Lampedusa, Palermo e Catania, prima di completare il suo percorso radicale in Germania schiantando il tir a tutta velocità tra gli stand del mercato di Natale. Anis Ben Mustapha Amri è il ricercato numero 1 in Europa. Sarebbe stato lui a guidare quel camion trasformato in ordigno di morte, esattamente come accadde a Nizza, in occasione della festa del 14 luglio.
Non era uno sconosciuto. I primi ad accendere i riflettori sul ragazzo ribelle erano stati i poliziotti tunisini. Amir era tra i ragazzi che hanno infuocato le strade di Tunisi e hanno contribuito a rovesciare il regime di Zinedine Ben Ali nel 2011, il là alle rivoluzioni colorate del mondo arabo e nordafricano. Quelle sommosse che tanto piacevano agli esteti dell’Occidente oggi si schiantano sulle rovine di Aleppo quanto sui detriti del mercato di Natale di Berlino. E sulle scie di sangue che hanno lasciato e probabilmente lasceranno in futuro.
Amir è nato a Tataouine, una piccola città tunisina desertica, al confine con la Libia. Lo sanno tutte le polizie e gli investigatori del mondo. Quelle dune sono una roccaforte dell’integralismo islamico, sotto la dottrina di Ansar Al Sharia prima e del Califfato oggi. Dopo le rivolte di Tunisi, Anis arriva a Lampedusa con l’ondata che travolgerà l’Italia e scatenerà la prima grande crisi di migranti a partire dall’estate del 2011. Una sorta di esodo del terzo millennio che aprirà le porte dell’Europa a migliaia di disperati ma anche a diversi criminali patentati. Tra loro c’è Amir. Quando arriva in Italia è ancora un minorenne. Sarà tra i protagonisti dell’incendio che distruggerà il centro di accoglienza delle Pelagie. Viene fermato e trasferito in carcere, prima a Catania e poi a Palermo. Condannato a quattro anni, sconta la pena tra le mura dell’Ucciardone.
Il governo italiano proverà la carta dell’espulsione ma la Tunisia risponderà “no, grazie”. Ennesimo esempio di come i “flussi” siano sempre e soltanto unidirezionali. C’è chi sostiene che abbia fatto perdere le tracce dopo la scarcerazione ma in realtà – dopo l’ingresso da clandestino in Germania, dove poi aveva fatto richiesta d’asilo– era già finito nella lista dei top wanted.
Anis, nel frattempo, ha imparato le arti del combattente islamico e sa vivere sotto copertura, con diversi alias che ne proteggono la clandestinità. Ad agosto di quest’anno la polizia tedesca lo avrebbe fermato. Avrebbe mostrati un passaporto italiano falso. Non il solo documento contraffatto. Le regole dell’Europa politically correct non consentono di arrestarlo e viene rilasciato, in attesa di espulsione. Di lui – grazie alla rete informatica che unisce le polizie europee- si conoscono i trascorsi criminali. Appartiene a una rete salafita. Ormai è chiaro che si tratta di un individuo potenzialmente pericoloso. Gli investigatori tedeschi decidono di tenere sotto controllo il suo telefono. Su di lui si accende un vero e proprio alert. Il segnale del telefono si spegnerà ai primi di dicembre e la polizia perderà ogni contatto. Anis sparisce nelle stesse ore in cui tutte le intelligence del mondo lanciano l’allarme per una nuova minaccia web da parte dell’Islamic State. Nota a margine, tra i bersagli prediletti dal Califfo, anche nel messaggio 2016, c’è in testa il Vaticano (che dovrà bruciare….). Poi, Anis entra in azione. E’ la strage al mercatino. Che accade qualche ora dopo l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara. Quei colpi di pistola erano da nove colonne. Anis si prende la prima pagina col suo carico di morte e per l’aver disintegrato il simbolo del Natale.
A quale gruppo appartenga Anis Ben Mustapha Amri non è chiaro. E’ vero, però, che da più di tre anni Ansar Al Sharia ha abbandonato la dottrina qaedista per unirsi alla follia del Califfato. Ma stabilire quale sia l’arco che ha scoccato la freccia è esercizio di stile dottrinale poco congruo al peso dei tempi. Quel che conta, per ricostruire il profilo del killer di Berlino è la sua assimilazione al verbo jihadista. Nei suoi post su facebook – secondo la ricostruzione, come sempre, “del giorno dopo “ da parte degli investigatori tedeschi – si intuisce una sostanziale adesione proprio ad Ansar Al Sharia della Tunisia, il gruppo che ha colpito sulla spiaggia del resort nel 2014 e al Museo del Bardo nel 2015. Anis Ben Mustapha Amri non è un lupo solitario. E’ un soldato di quell’esercito che dalle spiagge tunisine ha messo sotto scacco Siria ed Iraq con oltre 11 mila muhajeddin. Ed ora che il terreno crolla sotto i loro piedi, a Mosul come ad Aleppo, si preparano a tornare indietro. E indietro c’è l’Europa.