L’avevano definita la “coppia diabolica”. Lui si chiamava, Carlo Gregoli, un dipendente comunale, la moglie Adele Velardo, una casalinga. Incensurati, insospettabili e con una passione per le armi. Accusati del duplice omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, uccisi a Villagrazia di Palermo il 3 marzo scorso, erano finiti in cella due giorni dopo. Poi Gregoli si è suicidato impiccandosi in cella a giugno e l’unica indagata è rimasta la moglie. Il pm Claudio Camilleri ha chiuso le indagini sulla donna, accusandola di omicidio. I due coniugi, secondo la polizia, avrebbero ucciso, in pieno giorno, per strada a Villagrazia Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela.
A portare gli inquirenti, inizialmente indirizzati sull’omicidio mafioso visto che Bontà era genero di un noto capomafia (Giovanni Bontade), alla coppia di insospettabili furono le immagini di una telecamera piazzata nella zona del delitto e le rivelazioni di un testimone oculare. Un ignaro passante che ha prima udito le esplosioni, poi dallo specchietto retrovisore dell’auto su cui viaggiava avrebbe assistito alla fase finale del delitto: quella in cui Gregoli avrebbe sparato alla nuca a Bontà. Gregoli e la moglie, entrambi tiratori esperti con una passione per le armi, avevano due calibro 9 con regolare permesso. Non hanno mai ammesso nulla, si sono anzi dichiarati innocenti anche dopo l’esame del dna. Su un bossolo trovato a terra sul luogo del delitto c’era il dna dell’arrestato. Quello che non è stato mai accertato con chiarezza, però, è il movente del delitto. Inizialmente si era parlato di vendetta in seguito a contrasti tra vicini, ma nessuna prova sicura è mai stata accertata. Dopo il suicidio di Gregoli, inoltre, è stata aperta un’indagine ipotizzando il reato di omicidio colposo, in cui è coinvolto lo psichiatra del carcere Pagliarelli che, per ultimo, si è pronunciato sulle condizioni psichiche e sulle modalità di detenzione di Carlo Gregoli. L’indagine è ancora in corso e non si conoscono i risultati dell’autopsia. Adele Velardo si trova agli arresti domiciliari da dicembre, dopo 9 mesi di detenzione in carcere. A chiedere la sostituzione della misura cautelare – per la forte depressione della donna – sono stati gli avvocati Marco Clementi e Paolo Grillo.