Solo grazie a Cosa Nostra avrebbe potuto accumulare beni e redditi. È questa la tesi della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero Geri Ferrara confiscando il patrimonio di Francesco Paolo Sbeglia, un imprenditore edile che – secondo gli inquirenti – sarebbe stato in affari con i boss.
Per il collegio le due sentenze di condanna per Sbeglia, accusato di mafia e riciclaggio, hanno evidenziato che “l’intera storia imprenditoriale di Sbeglia si è svolta grazie ai rapporti stabiliti e reciprocamente vantaggiosi con la criminalità organizzata, dando luogo a una forma di pregnante contiguità. Che da una lato ha determinato la fortuna imprenditoriale di Sbeglia, dall’altro ha consentito a Cosa Nostra di esercitare il controllo sulle attività economiche dell zona e di lucrare attraverso le stesse”. Per il Tribunale “Sbeglia era un imprenditore mafioso perché da un lato accettava, condividendole, le regole mafiose ed era soggetto alle decisioni mafiose e al controllo mafioso sulle attività economiche della zona, dall’altro Cosa nostra gli assicurava posizioni di mercato monopolistiche o oligopolistiche”.
Passano al patrimonio dello Stato le seguenti società: Rekoa srl, Agricoltura e Giardinaggio sas, Domè srl, Costruire srl, Fra.Ma srl, Immobiliare Palagio srl, Cedam srl, una decina di immobili in via Albergheria e via Margherita di Savoia. Confisca anche per alcuni conti correnti bancari. Erano state le indagini del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza a scoprire il ruolo degli Sbeglia, il sequestro era stato firmato dalla sezione presieduta da Silvana Saguto.