Accusati di avere ucciso i propri compagni di viaggio durante una traversata della speranza mentre erano tutti ammassati in un gommone. Il motivo? Per non aver pregato. Questo è quanto si evince dal racconto di di alcuni migranti soccorsi a largo della Libia ad aprile del 2015, da cui è poi scaturito il processo.
La Corte d’assise ha condannato sei extracomunitari a 18 anni di carcere – la Procura aveva chiesto l’ergastolo – ma non ha ritenuto sussistente l’aggravante dell’odio religioso, smontando, dunque, il movente raccontato dai testimoni. La pena è stata inflitta a sei imputati mentre otto sono stati assolti. Ad uno, accusato non di omicidio ma di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, i giudici hanno dato 4 anni.
La storia
Era il 15 aprile; sbarcati a Palermo, dopo una traversata di due giorni partendo dalle spiagge della Libia, i migranti vennero interrogati dalla Squadra Mobile e raccontarono che, durante il viaggio in mare, alcuni nigeriani e ghanesi, sarebbero stati minacciati di essere abbandonati in acqua perché cristiani, da una quindicina di altri “passeggeri”, musulmani. Dalle minacce i musulmani sarebbero passati all’azione gettando in acqua dodici persone.
Solo una volta arrivato in Sicilia gli investigatori scoprono il massacro e vengono a sapere dei migranti morti in mare. Alcuni dei superstiti forniscono l’agghiacciante ricostruzione.
A bordo del gommone – spiegano nelle deposizioni difensive – tutti erano ammassati, senza divisioni né per nazionalità, né per religione: se in quelle condizioni si fosse scatenata una rissa, di sicuro l’imbarcazione si sarebbe ribaltata. E descrivono la situazione: molti passeggeri, soprattutto quelli stivati a prua, erano aggrappati al tubolare dello scafo, un po’ per tirarlo su, un po’ per evitare che l’acqua allagasse l’imbarcazione. Una lotta per non morire durata quasi 70 ore, tra le onde: quelle che avrebbero fatto cadere in mare diverse persone, tra le quali anche migranti di fede musulmana.
Il processo è stato istruito dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dai pm Claudio Camilleri ed Enza Cescon. Gli imputati, accusati di omicidio plurimo aggravato, sono ivoriani, senegalesi e maliani. La tesi della Procura è stata riconosciuta; l’ipotesi di omicidio volontario, ma la corte non ha creduto al movente religioso. Diciotto anni di carcere e un milione e 200 mila euro di multa sono stati inflitti a Mohamed Kantina, Ousman Camara, Kabine Konate, Kulibali Uma, Morizio Mouri e Hamed Doumbia. A quattro anni è stato condannato lo scafista Seckou Diop (probabilmente uno dei tanti pseudonimi di Shea Cheiko). A tutti la corte d’assise ha riconosciuto le attenuanti generiche.
Sono stati assolti, invece, Jean Baptiste Mabie, Abubacar Keit, Kante Bakadialy, Aboubakar Sidibe, Moustafa Toumadi, Moussa Kamagnate, Biliti Abbas e l’ivoriano Kaba Somauro, che voleva arrivare in Italia per diventare calciatore. La corte ne ha ordinato la scarcerazione e l’espulsione. I legali degli imputati hanno sostenuto che i 12 migranti sarebbero morti annegati perché il gommone avrebbe cominciato a imbarcare acqua e sarebbero caduti in mare.