Si è celebrato martedì scorso, a Caltanissetta, il settantesimo anniversario della fondazione della CGIL siciliana a cui, Il Sicilia.it, unico dei giornali regionali, ha dato ampio risalto. Eppure la CGIL siciliana rappresenta un pezzo di storia importante della Sicilia e ha dato un contributo fondamentale alla sua crescita e al suo sviluppo democratico, come ha ricordato, con accenti commossi e con grande capacità di analisi e di visione del futuro, Emanuele Macaluso, il primo segretario regionale della CGIL.
Il primo congresso fondativo del sindacato, si svolse, infatti, proprio a Caltanissetta dal 10 al 12 maggio del 1947, a coronamento di un’intesa fase di lotte sindacali e di riorganizzazione delle proprie strutture, avviatasi dopo la riconquistata libertà con lo sbarco degli Alleati. Nonostante, infatti, le restrizioni dell’occupazione militare si sviluppò nelle campagne un grande movimento di lotta, la famosa epopea contadina, grazie anche agli interventi del governo nazionale formato, fino a quel momento, dai partiti antifascisti del Comitato di Liberazione Nazionale, il CLN.
I decreti del ministro dell’agricoltura, il comunista Fausto Gullo, offrirono un formidabile strumento al movimento contadino che culminerà nella Riforma Agraria, scatenando la feroce reazione delle forze reazionarie e mafiose con più di quarantacinque sindacalisti trucidati dalla mafia e che avrà l’apice più drammatico nella strage di Portella delle Ginestre. Al congresso sarà presente, infatti, il leader nazionale del sindacato, il mitico Giuseppe Di Vittorio, come segno concreto di vicinanza e solidarietà ai lavoratori siciliani, duramente provati da quel terribile eccidio.
Il congresso si chiuse con l’elezione del comitato direttivo regionale, composto di 25 membri che diede questi risultati: alla lista comunista andarono 16 seggi, a quella socialista 6 seggi, a quella democristiana 2 seggi, alla socialdemocratica 1 seggio, alla repubblicana nessun seggio. La corrente comunista rinuncerà a 2 seggi a favore dei socialisti e dei repubblicani “per rafforzare l’unità sindacale”.
E’ bene ricordare questo fatto, in un tempo in cui prevalgono la cosiddetta antipolitica e una forte diffidenza verso i partiti, per usare un eufemismo, che questi sono stati l’architrave della Democrazia, gli estensori della Costituzione e che sono stati i partiti, all’indomani della Liberazione, a dare vita al Sindacato e alle diverse associazioni di rappresentanza. Hanno creato insomma il tessuto democratico del Paese. La loro stessa rottura sarà opera dei partiti come conseguenza della divisione del fronte antifascista, della Guerra Fredda e della contrapposizione del mondo in due blocchi ideologici, politici e militari.
Questo spiega il peso preponderante che i partiti hanno esercitato nella vita del Paese che, pur con i loro limiti e difetti, sono stati per lungo tempo il canale di comunicazione e di partecipazione dei cittadini, come dimostrava l’alta partecipazione, di votanti nelle elezioni, la più alta d’Europa e di tutti i paesi democratici.
Questo eccessivo peso, però, privo dei necessari contrappesi, a lungo a dare ha portato a una degenerazione, come denunciò Enrico Berlinguer nella sua celebre intervista a Eugenio Scalfari, intravedendone con lungimiranza i pericoli: “I partiti hanno occupato lo Stato e le Istituzioni. Hanno occupato gli Enti locali, le Università, la TV. I grandi giornali. Bisogna agire affinché la giusta rabbia dei cittadini verso tali degenerazioni non diventi avversione verso il movimento democratico dei partiti”.
Il mancato rinnovamento dei partiti sfociò un decennio dopo in Tangentopoli, una delle cause dell’azzeramento del sistema politico e della nascita dell’antipolitica che inizia con Berlusconi e ripresa da Grillo che addirittura vagheggia una democrazia senza i partiti. La crisi che oggi vivono le diverse rappresentanze sociali, a cominciare dal Sindacato, è legata essenzialmente alla scomparsa di quel mondo, all’assenza di riferimenti politici e all’emergere di forze che non considerano il sindacato e l’associazionismo un valore da tutelare , ma piuttosto un intralcio, in ingombro di cui, se fosse possibile, ne farebbero a meno.
Una delle critiche che forse andava rivolta al progetto di riforma costituzionale non era tanto il pericolo che rappresentava per la democrazia, come grossolanamente denunciava il fronte del No, mala sua limitatezza, riferendosi ad un semplice riequilibrio tra potere esecutivo e quello parlamentare senza affrontare, ad esempio, il grande tema dei corpi intermedi, essenziale nel funzionamento di una democrazia moderna.
Per ciò che riguarda la CGIL la sua crisi inizia con il venir meno del suo punto di riferimento politico. La sua storia e la sua funzione si intreccia profondamente con quella della Sinistra e del PCI in particolare, non perché ne fosse un semplice esecutore, come con superficialità viene descritto questo rapporto, ma come parte integrante, con posizioni autonome, di quel progetto di cambiamento e di costruzione di una nuova società che il PCI propugnava.
La crisi del PCI, infatti, prima ancora che alla caduta del muro di Berlino e il crollo del comunismo, inizia prima, ed era legata al venir meno di una sua funzione nella società, che per un quarantennio aveva svolto efficacemente. Egli non era più in sintonia con i cambiamenti a cominciare del mondo del lavoro che coinvolgeva anche il Sindacato, come dimostrò la vicenda della vertenza FIAT con la marcia dei 40.000 contro la CGIL e il PCI e la sconfitta del referendum sulla scala mobile, per fare solo qualche esempio. Oggi c’è ancora bisogno del Sindacato?
Oggi di fronte alla deterritorializzazione dell’economia che provoca uno sradicamento dei rapporti tradizionali fra produzione e comunità, tra economia e società, tra spazio e luogo, tra rappresentanti e rappresentati, alla frammentazione del lavoro e alla sua precarizzazione, il sindacato sembra fermo alla impresa fordista, all’operaio massa, ignorando o avendo difficoltà a rappresentare nuovi lavori, nuovi saperi. Il pericolo è, quindi, quello di una chiusura corporativa su alcune categorie tradizionali e sul piano sociale di tutelare i garantiti, condannandosi ad una marginalità politica.
Ecco perché occorrerebbe ripartire dalla lezione di Luciano Lama che spiegava che quando la difesa di una categoria, di una determinata area sociale coincide con l’interesse generale del Paese solo allora si assolve al ruolo di classe dirigente. Infine vi è il grande tema dell’impresa che, senza volere affievolire le responsabilità del mondo imprenditoriale, tuttavia l’impresa non va più considerata il nemico, un luogo di espiazione ma, fermo restando la giusta dialettica e conflittualità, un valore comune perché solo l’impresa crea lavoro e ricchezza per la comunità.
E’ necessario, dunque, riaprire un grande dibattito perché in gioco non vi è solo il futuro del sindacato ma della democrazia italiana a partire dal grande sogno del sindacato unico dei lavoratori, di cui non si parla più, e nel farsi carico di un nuovo grande Piano per il Lavoro con al centro i nuovi diritti, a prescindere dal settore, dalla razza e dalla religione, e su questo a Caltanissetta sono state dette cose interessanti. L’auspicio è che proprio dalla Sicilia, da questo nuovo e giovane gruppo dirigente regionale della CGIL , guidato da Michele Pagliaro, possa venire una spinta a questo grande progetto, un modo concreto per onorare una gloriosa storia e il grande patrimonio morale che la CGIL ha rappresentato e rappresenta in Sicilia.