E fu così che “il Papa straniero” rimase in tacito stand by. “Un vorrei ma non posso” in salsa palermitana che viaggia sull’asse con Roma, dove ognuno nel centrosinistra, ha messo qualcosa di suo per stimolare i dubbi creativi del presidente del Senato Piero Grasso, che alla fine ha detto no alla sua candidatura a Palazzo d’Orleans.
Fiero il passo e veloce l’andatura, “il candidato che non c’è” avanza placido. Lo sostiene una maggioranza di dubbi, lo accompagna una platea di silenzi, spesso più rumorosi dei consensi di chi si è sbracciato platealmente sul nome di Grasso, come ad esempio D’Alia. Lo inibisce la capacità strutturale tutta di matrice Dem, di marcarsi l’un l’altro, incondizionatamente. Senza tregua.
Ad impersonare il ruolo di regista di coalizione Leoluca Orlando. Non importa se ‘i modelli’’ in Sicilia durano il tempo di un mattino (vedi il flirt di Crocetta con i ‘grillini’ a inizio legislatura, frettolosamente bollato come modello Sicilia) e si bruciano con la stessa velocità con cui vengano fatti e disfatti accordi e alleanze. Il regista controlla, dosa, amministra e soprattutto verifica se è il caso, di stroncare qualcosa di nuovo che può nascere nella Sicilia dove ogni fuga è una conferma e dove la presenza spesso va motivata come una colpa di cui giustificarsi.
Il ‘modello Palermo’ deve essere dunque la nuova religione che serve ad annacquare i dubbi dell’elettorato, a estirpare l’impostura di uno schieramento cristallizzato dopo 5 anni di sostegno passivo a un presidente mal sopportato e a legittimare il maggior numero possibile di liste, capaci di accogliere i candidati dei territori, facendo passare per laica una coalizione politica, in cui stavolta, Orlando se ne faccia una ragione, i simboli non potranno mancare.
E quindi Orlando, smonta, sminuzza, frammenta e ricompone, per poi ripartire da sé, se non in una sua candidatura a presidente, difficile da spiegare ai palermitani, comunque nel tentativo di coordinare, persino ancora sullo stesso Grasso, una ipotesi di ampio respiro su cui provare ad annichilire la corazzata a 5stelle e il redivivo centrodestra siciliano.
Grasso, probabilmente, tanto entusiasmo con il freno a mano tirato, in vita sua non lo aveva mai visto. L’indecifrabilità eletta a regola che occupa il tempo che serve, la scelta consapevole di non farsi leggere dentro. L’uomo qualunque-DEM oggi deve avere questi requisiti. E volare bassissimo. C’è una conta interna da fare. A tutti i costi. E quindi, i ‘muti parlanti’ prendono sembianze inattese e cangianti, si mimetizzano tra Faraone e Cardinale, spariscono per ricomparire, rendendo fluida oltre ogni evidenza una situazione di stallo, con la candidatura-Grasso che uscita dalla porta, potrebbe rientrare dalla finestra sotto le mutate spoglie di una trattativa condotta da Renzi (altro silente al momento) in prima persona.
La direzione regionale del Pd di una settimana fa era stata archiviata con velocità e il minimo dei danni. Il segretario regionale del Pd Raciti era uscito dalle corde con reattività. Occorreva svegliarsi nel futuro più velocemente possibile. Magari con i centristi recuperati con una di quelle magnifiche formule che scandivano il passo dei pentapartiti fluttuanti. Poi la giornata di domani magari sarebbe arrivata portando con sé altri problemi, con Grasso che magari dice si, ma pone condizioni pesantissime che passano da “mani libere” nella composizione delle liste a supporto a scelte precise e margini forti di autonomia.
Oggi Raciti vive una condizione di solitudine da cui non può sottrarsi.
Le cose si sono complicate. Per tutti. Il sogno (o l’incubo per alcuni) di una candidatura autorevole e potenzialmente vincente, si è fermato (per ora) prima di cominciare.