Pace fatta tra Veneto e Sicilia sul copyright dei nomi dei grani antichi coltivati sull’Isola come Tumminìa, Russello o Timilia. La società veneta che aveva diffidato diverse aziende siciliane dall’uso del nome del grano di Tumminia, ha fatto un passo indietro. Alla base rischiava di nascere un conflitto a tutela della biodiversità e delle specifiche identità culturali regionali.
Felice Lasalvia Di Clemente, amministratore unico di Terre e tradizioni, la società che aveva diffidato coltivatori e commercianti siciliani dall’uso dei nomi si ritira dalla contesa . “Rinuncio alla difesa dei marchi Tumminìa e Timilia, lasciandone il libero uso a tutti – ha detto l’imprenditore veneto al Giornale di Sicilia – promettendo, altresì, l’assoluto impegno di fare della mia azienda la paladina della difesa dei grani antichi effettuando rigorosi controlli al fine di colpire e smascherare i furbetti di turno“.
Si è risolto così il “caso” dopo che il mugnaio di Castelvetrano Filippo Drago era stato informato da suoi clienti dell’arrivo delle lettere degli avvocati. “In pratica – spiega Felice Lasalvia Di Clemente – si è voluto attrarre l’attenzione sulla necessità di dare delle regole e dei protocolli da rispettare per potersi fregiare del nome di quelle specifiche varietà evitandone gli abusi in danno di agricoltori e, soprattutto degli ignari consumatori“.
L’episodio rischia però di inserirsi in un vuoto di sistema in cui la Sicilia dovrebbe reagire con la massima reattività. A rischio potrebbero essere anche vitigni e altre forme di specie, varietà ed ecotipi del territorio siciliano.
Il grano Timilia è una varietà antica di grano duro a ciclo breve. Una distinzione storica venne infatti effettuata già nel 1930 da Ugo De Cillis, autore di una preziosa pubblicazione sul riconoscimento delle varietà locali dei frumenti siciliani. Contributi in tal senso furono forniti anche dalla Stazione sperimentale di granicoltura per la Sicilia di Caltagirone.
La vicenda, portata a conoscenza dal M5S, che ne ha diffuso la notizia, poggiava su quello che rischia di diventare un vero e proprio “furto d’identità” a danno della Sicilia e dei suoi prodotti.
Cracolici si era attivato nei giorni scorsi, volando a Roma per studiare un intervento tempestivo di cui alla fine non c’è stato bisogno.
La legge “Born in Sicily”, che si occupa in dettaglio di “identificazione, tutela e tracciabilità della biodiversità autoctona e prevede che la Regione attraverso questa legge “riconosce il patrimonio di conoscenze, innovazioni e pratiche delle comunità locali rilevanti per la conservazione e la valorizzazione delle diversità biologiche presenti nel territorio, ne promuove una più vasta applicazione anche con il consenso dei detentori di tale patrimonio“.