I poliziotti della Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Caltanissetta martedì scorso hanno dato esecuzione a un decreto di confisca, emesso dalla sezione misure di prevenzione del locale Tribunale, nell’ambito del procedimento di prevenzione a carico di un 50enne, noto pregiudicato gelese.
Con il provvedimento emesso dall’Autorità giudiziaria sono stati confiscati tutti i beni in sequestro, compresa ogni accessione e pertinenza, per un valore complessivo di circa 500mila euro, nonché quelli riconducibili allo stesso, intestati alla moglie.
Nello specifico sono stati confiscati un’impresa, dedita all’allevamento di ovini e caprini, comprensiva dell’intero complesso aziendale, 15 terreni e 4 fabbricati, ubicati nel territorio del comune di Gela, 2 depositi a risparmio e 2 conti correnti.
Il provvedimento ablativo in questione, non ancora definitivo, è scaturito dalle indagini patrimoniali, svolte dagli agenti della sezione misure di prevenzione patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Caltanissetta, che hanno accertato come il valore dei beni nella piena disponibilità del 50enne, intestati anche ai congiunti stretti, risultava sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati ed alle ulteriori entrate lecite, dovendo quindi concludere che esso era il frutto delle attività illecite e ne costituiva, comunque, il reimpiego.
Nel novembre del 2019 il questore di Caltanissetta aveva avanzato proposta per il sequestro dei beni, facendo emergere l’illecita provenienza degli introiti utilizzati per l’acquisto degli stessi. Tali elementi avevano permesso alla sezione misura di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta di disporre il sequestro dei beni oggi sottoposti a confisca.
Il 50enne, già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, pluripregiudicato per diverse tipologie di reato, ha manifestato le proprie condotte antisociali con continuità e ha votato tutta la propria vita, a partire dalla maggiore età, alla commissione di crimini, anche di notevole allarme sociale.
Numerosi i collaboratori di giustizia che lo hanno indicato quale soggetto appartenente a “cosa nostra” e specificatamente del “clan Emmanuello”. In particolare, in seno alla compagine mafiosa, il predetto è arrivato a ricoprire il ruolo di “reggente” fin dalla morte del boss Daniele Emmanuello (2007), assumendo anche il ruolo di coordinamento degli affari di “cosa nostra”.
L’uomo è stato condannato alla pena di otto anni di reclusione, per associazione di tipo mafioso, con sentenza del Tribunale di Caltanissetta del luglio 2010, confermata dalla locale Corte di Appello e divenuta irrevocabile nel settembre del 2013. Sempre, con sentenze irrevocabili, è stato condannato per ricettazione, detenzione e porto di armi da sparo, furto e pascolo abusivo.