“I still haven’t found what i’m looking for”. La scritta campeggia abbondante e poco discreta sul muro che costeggia il lato corto della stazione di Amsterdam. Di indecisione si può morire.
C’era una volta il Pd. E c’è ancora. Un partito di belle speranze che un giorno allunga il passo e l’altro lo ritira. Con prudenza. Sempre alle prese con la marcatura asfissiante di leader contrapposti. Una terra di nessuno dove le velleità erano confinate a un rango di normalità. La Sicilia era roba di centrodestra. Gente da 61 a 0. Facce note, di quelle che la gente sapeva riconoscere a primo acchitto senza dovere aspettare ogni cinque anni di trovarsele attaccate sui manifesti, nei muri, in provincia, come in città.
Sì, c’era stato nel 2001 un tentativo di Gianfranco Fini di chiedere a Berlusconi Palazzo d’Orleans per uno che aveva fatto il presidente della Provincia di Catania e l’europarlamentare, ma si sa, Fini per la Sicilia aveva lo stesso slancio che ci mette ai giorni nostri Renzi quando viene a presentare i suoi libri. Retorica o poco più. E palla al centro. Il senso di Gianfranco e Matteo per la Sicilia, una percezione impalpabile quasi sfiorata.
Quindi il Pd, dicevamo. Promette bene dai banchi dell’opposizione. Non vede quasi palla negli anni del cuffarismo, perde per dieci anni il Comune di Palermo e quello di Catania, con Messina che non fa differenza, ma poi l’intuizione di Cracolici e Lumia con Lombardo, sotto la regia di Giuseppe Lupo, segretario regionale, porta alla fine del responso uscito dalle urne nel 2008. Si aprono grandi prospettive. Intanto Lombardo, dopo Cuffaro deve passare la mano. Nel Pd fremono in tanti, ma ci pensa D’Alia a rassicurare tutti, guardando in direzione dell’ex sindaco di Gela, europarlamentare e outsider, partito da solo in contropiede.
I dem non hanno cosa fare. Scelgono di accodarsi. Ancora loro, Lupo, Cracolici, Lumia per cui si apre il ruolo di gran consigliere di Crocetta. Si arriva lentamente, sono pur sempre cinque anni, ai nostri giorni, ma i democrat sono diventati un’altra cosa. I salotti di Palermo e Catania, ma anche quelli di Messina, dove non molto tempo prima comandava Genovese, si aprono d’incanto, diventano botteghe per apprendisti stregoni e laboratori di futuro, il trend è diverso. La musica è cambiata. Alle europee del 2014, nella sbornia del 40% che manda in tilt i contatori di realismo di matrice renziana un po’ ovunque; rimane fuori addirittura Gianfranco Miccichè, il gran cerimoniere dei ‘cappotti’ vincenti del centrodestra, l’uomo che ha consegnato Musumeci alla sconfitta nell’ottobre del 2012. Il ‘fight’ tra Cracolici e Lumia, nel frattempo per un posto (o anche due) a Bruxelles, alla fine non si è consumato. Ormai o sei del Pd o sei fuori dai giri che contano. Lupo, Cracolici, Lumia, sono ancora là. A togliere il disturbo è solo un ragazzo dal ciuffo indisciplinato che si è convinto che la legislatura all’Ars debba finire “quel giorno e che non ci sarebbe più stato ritorno”. Ma “la guerra di Piero” rimane solo una canzone e Ferrandelli esce dal parlamento siciliano certo di dover anticipare tutti quel che basta per trovarsi davanti ai blocchi di partenza. La legislatura invece continua, le intercettazioni che coinvolgono Crocetta sono un boomerang per tutti tranne che per il presidente della Regione. Il Pd, anzi entra al governo con nomi e cognomi e ci mette la faccia.
Ma tre anni volano, il tempo stringe e i Dem, sempre loro, hanno un’enorme abbondanza di outsider e una penuria senza fine di candidati per Palazzo d’Orleans. Mai visti tanti Papi (anche stranieri) uscire Cardinali, tutti insieme. Tutti tranne uno che il Cardinale lo fa di nome e di fatto. A lui si appassionano un po’ tutti, da Orlando a Lupo, fino a Faraone. Un po’ meno per la verità Raciti, il segretario regionale del Pd, irreversibilmente lucido e spesso poco ascoltato. Faraone affila la armi (che resteranno affilate inutilmente alla fine) dando al governo regionale il suo contributo di ’maggiorente di opposizione’.
Il Pd Palermocentrico che non piace a Enzo Bianco, un altro che non ha fornito alternative e soluzioni di impatto in questi mesi, al metodo e al ragionamento complessivo, prepara il suo confronto interno. L’aria di disfatta“non aleggia nella sera”. I Dem anzi ci credono. Male che va tornano da dove sono venuti, una palude di opposizione dalla quale stavolta sarà più facile forse regolare qualche vertenza interna.
In mezzo a tutto questo, poiché serve un modello e qualcosa ci si deve inventare, Orlando che parla col Pd a mesi alterni e a secondo delle congiunture astrali, becca il jolly e ne trova uno dalle parti di Viale delle Scienze. Micari. Un uomo senza colpe, in fondo, tranne per il fatto di essere capitato nel bel mezzo di un partito per il quale la paura di vincere e quella di governare, in fondo, si equivalgono.