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“Sicilia terra della ripartenza”. Ma Renzi non prende impegni sul candidato

giovedì 3 Agosto 2017
PALERMO 02.08.2017 – MATTEO RENZI PRESENTA IL SUO LIBRO ALLE TERRAZZE DI MONDELLO.
Ph. STUDIO CAMERA / FRANCO LANNINO

Lo aspettano  tutti con tanto di auto e lampeggiante e invece Matteo Renzi  sbuca  a piedi, scortato dalla security a passo  sostenuto, qualche minuto dopo le 19, sotto un caldo torrido, da un piccolo cancello che si apre all’improvviso, di fronte alle Terrazze di Mondello.

È l’unico colpo a sorpresa della serata.

I big della politica siciliana del centro sinistra ci sono quasi tutti. Arrivano alla spicciolata, Cracolici, Lupo, D’Agostino. Cardinale va a sedersi vicino a Orlando. Faraone  è accanto a Renzi.

Il segretario nazionale del Pd sale le scale salutando Crocetta: «Come stai, presidente», rivolge mille attenzioni a Orlando seduto in prima fila ad ascoltare (fa trapelare anche la notizia di un incontro riservato da fare con il sindaco di Palermo), stringe mani e si immerge nella folla.

Dice con destrezza poco e niente sulle elezioni regionali di Sicilia. Flirta con il suo pubblico, ammicca, scherza, poi si fa serio e riparte in un’orata buona di renzismo distillato.

Per una sera di mestiere fa il presentatore del suo libro (Avanti – perché l’Italia non si ferma- Feltrinelli)

«Dopo tanti  gufi non  volevo trovare  accanto qualche avvoltoio, per questo ho imballato le mie cose da solo traslocando da Palazzo Chigi» e ancora : «In Italia avremo uno stato di emergenza fino a quando la disoccupazione giovanile non scende al 20 per cento», e poi «siamo stati più  piazzisti  che statisti, gli  80 euro agli italiani l’abbiamo raccontato come una televendita,   e ancora «Euro in cultura euro in sicurezza. Non lo abbiamo raccontato  ma è  il nostro futuro».

La raffica iniziale delle risposte ai quesiti posti dal giornalista di Repubblica Emanuele Lauria, arriva secca sulla platea assiepata come si usava nelle sale parrocchiali ai tempi della Dc quando arrivano i pezzi grossi della politica. Meglio riempire in maniera straripante un posto piccolo che correre il rischio di lasciare spazi vuoti in un grande contesto.

Dall’Italia ho avuto tanto, non sono rancoroso. Renzi come al solito cerca con attenzione di orientare l’ascoltatore, punta  a convincerlo mettendo avanti difetti ed errori commessi: «Autoreferenzialità  di ciò  che  siamo, qualcosa da cui fuggire», oppure «la legge elettorale non si fa a colpi di maggioranza».

Poi, dopo quasi 50 minuti arriva il momento della «terra della ripartenza,  il voto di Sicilia ha  importanza cruciale per l’intero Paese»

L’ex presidente del Consiglio ricorda l’esperienza del G7 a Taormina, fatta per rendere omaggio «a una grande tradizione di cultura, di accoglienza e di civiltà che è la vostra terra» e saluta la Sicilia, «che ha salvato la faccia all’Europa sulla questione dei migranti».

Prova a dribblare le domande di politica regionale, ma poi Renzi ammette :«le elezioni siciliane sono sempre state un passaggio importantissimo. Se la Sicilia si rimette  in moto è un bene per tutti. Abbiamo fatto moltissimo per mettere a posto i conti. Dal punto di vista infrastrutturale è impensabile che siamo ancora a questo livello. L’occupazione si determina creando  incentivi per il privato.  La nostra esperienza di governo dice che hanno funzionato i super ammortamenti. Dobbiamo mettere la gente in condizione di investire». Quindi aggiunge:«Occorre creare una coalizione che sia in grado di vincere le elezioni. Ci sono le condizioni per vincere come è accaduto a Palermo qualche settimana fa. Non possono arrivare diktat da Roma. Ci penseranno qua i nostri, c’è Fausto, tocca a loro».

Il segretario regionale del Pd Raciti rimane indietro. Sceglie una posizione defilata. Ascolta in silenzio.

Renzi poi colloca la stoccata a effetto: «Se possiamo fare della Sicilia un laboratorio anche dal punto di vista fiscale è ora che si può chiedere»

Lasciando Mondello si ferma a parlare con Crocetta e Raciti. Chissà se hanno parlato di primarie o del Conclave dell’ottobre del  16 ottobre 1978.

Da quel giorno ci sono stati solo papi stranieri.

 

 

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