Analizzando la quotidianità, non mi sorprende che Freud abbia elaborato intorno a essa un “manuale” di psicopatologia clinica. Come la sua, anche la mia, può definirsi, senza acritico eccesso di benevolenza,un’impresa a dir poco coraggiosa e senz’altro unica, di tagliente, profonda introspezione.
Spero di non essere la sola che non ama perdere, ma impiegare il tempo, in maniera costruttiva, anche laddove non vi sarebbero gli estremi, come durante una riunione di condominio. Mentre tutti sono impegnati a urlarsi contro, a rivangare, a petulare, a bagolare, io osservo questi sofferti e così “appaganti” (ma è una sorta di illusorio effetto McGurk) processi di pensieri. Penso quanto sia miserabile l’essere umano, povero o meschino, confusionario, infelice, solo, frustrato, invidioso, insoddisfatto, etc.
Al circolo si va per svagarsi e socializzare. Alle riunioni si va per vomitare l’animo, per sfogare i propri malesseri. In entrambi i casi, si passa il tempo. L’85% dei discorsi, infatti, non hanno valore. Evidentemente, e fa tristezza, questa gente è involuta, ha un concetto di tempo malsano, ha un disturbo narcisistico di personalità oltre che disfunzioni cognitive serie che fanno perdere di vista loro il vero senso delle riunioni condominiali: migliorare la qualità della vita di tutti, trovare nuove soluzioni nel confronto e nello scambio, rimanendo in una dimensione di cortesia, di rispetto, di coscienza e di praticità.
L’Amministratore (come noi altre vittime) è stato a lavoro tutto il giorno e, per finire, si deve sorbire, perché non può fare da moderatore né impedire la parola a chi ne fa abuso, tutte le profferte compulsive proiettate nel campo. Le assemblee, per ordinamento giuridico, sono gli organi che hanno i maggiori poteri per decidere e incidere, nel bene e nel male, sulla vita di condominio.Purtroppo, i partecipanti, in media, non conoscono l’abc delle norme di buon comportamento in luoghi di lavoro, la cui osservanza è fondamentale per ottenere dei risultati, per arrivare a delle conclusioni. Tali adunate, di fatto, si rivelano disutili e improduttive o, per meglio dire, tossiche, plumbee e logorroiche. Se non si compiace, così facendo, la mania di protagonismo, si soggiace alle proprie distonie.
Io vorrei lanciare nel web una proposta che può, io credo, risolvere, alle calende greche, questa problematica legata a un mal costume consolidato. Esiste una formula che è chiamata “prima convocazione condominiale”, non evidenziata, di proposito, dal carattere “grassetto”. Viene fissata in orari improponibili e dovrebbe servire per facilitare il raggiungimento delle maggioranze, ma, alla fine, è un tempo morto, un foglio inutile, spese di cartoleria in più e basta. È una formalità, ma è obbligatoria. Quella che conta è la seconda convocazione. Io mi chiedo se non sarebbe più razionale, onde regolamentare la riunione e conferire a essa l’aria solenne e sobria che le è propria, avvalersi della prima convocazione, indicendola, ovviamente, in orari abbordabili, alla presenza dei condòmini, ma non dell’Amministratore, muniti di liste di domande e perplessità, allo scopo di valutare tutte le questioni avanzate da ciascuno, selezionarle, approvarle, scartarle.
Nel corso della effettiva assemblea, dovrebbe essere chiesto: 1. Di parlare solo se è stato consentito nella precedente riunione; 2. Di limitarsi a leggere le righe concordate, spoliandole di emozioni e altri lambiccamenti ectopici; 3. Di permettere lo svolgersi delle procedure di delibera nel più breve tempo possibile, nell’ottica di rendere produttivo ed efficace il processo di organizzazione e pianificazione degli spazi comuni.In questo modo, non è escluso, ma, al contrario, molto probabile che tali appuntamenti diventino non solo opportunità di crescita, ove si apprenda anche l’importanza della disciplina, delle regole e dell’ordine, in certi ambiti, ma anche una chance di socializzazione con “le persone della porta accanto”. Prima il dovere e, dopo, il buffet!